Galleria delle Dee
Incontrare le Dee/gli Dei attraverso storia, mito, immagini e racconti


KALI
Testo e ricerca di AnnaPirera per https://www.ilcerchiodellaluna.it


Vieni, Madre, vieni!
Perché terrore è il Tuo nome,
La morte è nel Tuo respiro,
E la vibrazione di ogni Tuo passo
Distrugge un mondo per sempre.Vieni, Madre, vieni!
La Madre appare
A chi ha il coraggio d'amare il dolore
E abbracciare la forma della morte,
Danzando nella danza della Distruzione.

Vivekananada

Kali è forse la Dea più nota del pantheon induista, è la Dea dell'energia femminile attiva e dirompente, dalla potenza inarrestabile, erede dell'antica Dea della morte e della trasformazione.
Fra i suoi nomi abbiamo: Bhairavi – la spaventosa – Chamunda – il killer – Chandi – l’aggressiva – Jari-Mari – La calda-fredda

Kali è innanzitutto una Dea attiva, un femminile che è forza, uno degli aspetti di Shakti, la Dea dell'energia e del mutamento
.
E' importatnte sottolineare che nel pensiero religioso e filosofico induista gli archetipi del maschile e del femminile si presentano in modo per molti versi opposto rispetto alla nostra cultura: al maschile e agli Dei maschi appartiene la passività, mentre la funzione attiva, espressiva, appartiene al femminile e alle Dee.

L'India è uno di quei rari luoghi in cui nella nostra epoca la Dea è ancora presente e oggetto di culto: Ella si mostra nell'induismo con volti e figure diverse, pur essendo in qualche modo sempre una, l'antica Dea, Devi(1).
Volti e figure che si intrecciano fra loro, mai statici, spesso mescolati, tanto che chi li studia fatica a trovare, guardando da vicino, i confini tra l'una e l'altra Dea, tanto spesso le forme di una comprendono gli attributi di un'altra e variando da regione a regione si confondono.
Ma non è così che accade, da sempre, per la Dea, cangiante e molteplice, una e inesauribile?

Con il nome Shakti, governa l'energia materiale, attiva, creativa, perennemente in mutamento.
Come Parvati, rappresenta il principio primo che si manifesta nel mondo.
Come Durga, Dea guerriera, ci viene incontro con impeto e potenza.
Con il nome di Lakshmi, porta con sé dolcezza e infinita abbondanza.
Come Radha, è l'amore divino, essenza di ogni relazione, potenza di piacere.
Saraswati, Ella canta il suono creativo della vibrazione eterna.

E ancora si manifesta con mille altri nomi e forme: Sita, Tara, Gayatri, Sati, Uma, Aditi....

E infine Kali, la più nota, come abbiamo detto, la più misteriosa, la più intensa, la più adorata.

 

Volti di Kali

Kali dall'impatto indiscutibile, di fronte a cui anche la più razionale, la più fredda delle persone si trova coinvolta, ingaggiata nel profondo.
Basta essere entrate anche una sola volta in un tempio di Kali, magari a Khaligat di Calcutta, o a Katmandu, da cui proviene l'immagine qui accanto, uno di quelli che ospita una Kali in forma irata - come vedremo ve ne sono anche forme pacificate - per non scordarsene mai più.

Se il tempio è affollato, è tutto un pigia-pigia di gente, donne, uomini, bambini; come spesso accade, lì; bisogna farsi largo, trovare uno spazio, aspettare e lasciarsi portare dal flusso lungo i corridoi, così che, quando ci si trova improvvisamente di fronte Lei, la sorpresa si mescola all'impatto. Altrimenti, se è un tempio minore, o un momento più tranquillo, ci si arriva subito, anche troppo presto, di fronte alla Murti(2), alla Dea che è davvero lì, non solo nella sua immagine, bensì nella sua Presenza.

In entrambi i casi ti assale un mondo di odori e spezie e fiori e sopra tutti, intenso, il sentore acre della cuccuma rossa e quello nauseante del sangue animale. Fiumi di rosso versati sulla Dea Nera, ai suoi piedi, che scorrono sui basamenti, sulle sue membra, sulla sua lingua. La potenza delle Sue braccia, il profilo dei teschi in collana, la bocca spalancata. Ella è nera, imponente, impressionante.

Per chi le sta di fronte, nessuno scampo. Un incontro senza sconti, senza mediazioni. Con se stesse e con Lei, come fosse una cosa sola.
E, insieme, l'incontro con quanto vi è di più alieno e oscuro. Con l'orrore e con la paura senza nome.

Kali ti costringe ad una nudità assoluta, ad un incontro allo specchio, e anche per questa sua caratteristica è al centro della via spirituale tantrica. Ella è la rottura di ogni schema, di ogni forma precostutuita; non a caso nel culto tantrico il devoto è invitato a rompere ad uno ad uno tutti i divieti e i tabù sociali in vigore, fino a cibarsi di cadaveri.

A differenza della più parte delle Murti, infatti, Kali, quando appare nella sua in forma irata, ugra, non ti guarda, non entra in relazione con te; non ha infatti la possibilità di vedere l’individuo, è energia pura, almeno fino a che non arriva al suo punto di rottura, finché non entra nella forma ‘pacificata’.

E da quello che ho chiamato il 'punto di rottura' si affaccia l'altro volto di Kali che è possibile incontrare nei templi, anzi che è il più comune ne panorama attuale: la Kali benedicente, la Kali protettrice, Kali-ma, la Madre, cui furono dedicati meravigliosi canti di lode e offerta dai mistici bhakta ottocenteschi.
Rovesciando quelli che vedremo essere i suoi attributi principali, Ella appare qui sorridente, benevola, giovane, talvolta perfino di carnagione chiara.

Può essere invocata come protezione contro le calamità naturali, uragani, cataclismi.
E' la forma di Kali che può fare ingresso nelle case - La Kali ugra sarebbe troppo potente, pericolosa -. Ha il volto della protettrice delle mura domestiche, della famiglia.

In quanto Dea, in quanto Madre, Ella distrugge per trasformare, per purificare, per accogliere, infine, il devoto della sua luminosa energia di Sposa di Shiva.


Alcuni aspetti di Kali
Una caratteristica importante delle dee del mondo induista è il loro avere sempre una duplice valenza: rappresentano sia il mondo spirituale che quello materiale nella forma femminile.
Così Kali, come le altre, è al contempo la Dea e una dea, La Grande Dea e il suo volto di guerriera distruttrice e l'energia del tamo guna, il principio materiale che sottende ogni trasformazione.

In riferimento alle enegie della materia, Kali fa parte di una trinità di dee che ricorda molto la triplice dea in alcune sue forme dell’area europea e mediterranea.
Ci sono numerosi templi dedicati a tale triplice dea: Lakshmi, Saraswati, Kali, corrispondenti alle tre energie (guna) primarie: l'energia della creazione, rajas (Saraswati, la luna crescente), quella della conservazione, sattva, (Lakshmi, la luna piena) e quella della dissoluzione, tamas, (Kali, la luna nera)(3).
Kali è dunque il volto ‘oscuro’ della triplice, corrispondente alla luna nera, all’energia della morte, del sonno, dell’illusione e della coppia ignoranza-conoscenza misterica. Kali è la figura che rappresenta anche il potere della trasformazione, che è sempre potere di morte, per cui è associata a serpenti.
Sempre quale 'volto oscuro'; Kali appartiene al mondo della Dea doppia: quella adorata in moltissimi villaggi nella semplice forma di una pietra rotondeggiante dipinta di rosso-ocra, come la coppia Parvati-Durga/Kali: Esse ci mostrano il volto luminoso, chiaro, attraente della dea con Parvati e in quello oscuro, nero e inquietante della stessa con Durga-Kali.

In India, le divinità si possono dividere in ‘calde’ e ‘fredde’.
Le prime esprimono i caratteri della fierezza, della rabbia, della guerra: sono divinità furiose e terrificanti che richiedono sacrifici – di sangue – per essere placate. Le altre sono dee familiari e gentili, che nutrono le comunità con amore e tenerezza.
Il femminismo radicale ha interpretato Kali come la manifestazione dell’inconscio collettivo femminile nella sua rabbia contro i regimi dominati dagli uomini. E’ una spiegazione coerente e consistente, ma ha il difetto di ‘depotenziare’ Kali rendendola un transitorio momento storico, come a dire che essa scomparirà – guarirà – quando le parti saranno equilibrate e le donne torneranno brave e buone come nelle leggende gilaniche. Come dire che, alla fine, rimarrà solo la dolce Parvati.
E dell'energia primordiale dell'antica Dea della Morte, che ne sarà stato? No, mi sembra che impoverire la sua natura ci allontani dalla comprensione di cosa è, nella sua totalità, il divino femminile.

Un aspetto che rende Kali particolarmente interessante è il suo essere una Dea ‘vivente’ adorata ancora oggi, con la quale abbiamo la possibilità di un incontro ‘vivo’ nella dinamica dei suoi miti, dei suoi templi, delle sue feste, dei riti e della relazione con noi (per l’induismo, in tutte le sue varianti, la relazione è un aspetto essenziale – se non l’essenziale – del e nel divino).
Iniziamo dunque il viaggio nel 'mondo di Kali', della sua iconografia.


ICONOGRAFIA

La Sua immagine

Immagini e Murti di Kali da templi e luoghi diversi

Kali è descritta e raffigurata come:

Nera (kali, con la a breve significa “nera”, in sanscrito, e viene spesso confusa con la parola kala, con la a lunga, che significa “tempo”) Sia la pelle che i capelli sono neri, i suoi sacerdoti sono vestiti di nero, talvolta viene raffigurata insieme a gatti neri e viene adorata particolarmente durante le notti di luna nera.
Ci sono delle forma di Kali blu e porpora, forme ‘gentili’ o ‘pacificate’ della Dea con due delle mani in posizione benedicente che vengono adorate nelle case – anche se comunque all’esterno della casa vera e propria, forme che ricordano quelle di Narasimha (incarnazione di Krishna-Vishnu) pacificato.

Nuda: la nudità di Kali è stata a tal punto ‘difficile’ da creare un’iconografia in cui ella porta una cintura di braccia mozzate e nei templi spesso è ‘vestita’ con un sari rosso. All’origine, comunque, era nuda, con la vulva visibile, seni cadenti e il ventre gonfio, selvaggia, brutta.

Con i Capelli sciolti e scompigliati. I capelli sono simbolo della sessualità sia da un punto di vista archetipico che dal punto di vista concreto dell’organizzazione sociale in India, dove è possibile sapere se una donna è vergine, sposata o vedova a seconda di come tiene i capelli. La sua è una sessualità libera, sfrenata e selvaggia. Nella letteratura la Grande Dea, Devi, si scioglie i capelli ogni volta che è adirata o chiamata alla battaglia. Nel Mahabaratha, il venire sciolto dei capelli di Draupadi, la moglie dei Pandava – uno dei volti di Draupadi è infatti Kali, in cui ella si trasforma nel periodo trascorso in esilio nella foresta - fu la causa del collasso della civiltà e l’origine del caos e della guerra, che ebbe fine solo quando Draupadi potè lavare i suoi capelli nel san
gue dei Kaurava e tornò a legarli nella tradizionale treccia.

Con indosso una ghirlanda di teste tagliate, maschili, con i baffi e un’aria virile. Sull’identità delle teste i miti raccontano storie diverse: demoni, uomini che si sono sacrificati a lei, simboli del falso io che la vita spirituale chiede di abbandonare, lettere dell’alfabeto sanscrito, perché Kali ‘taglia la testa alla parola’, riportandoci a quanto la precede, liberandoci dal suo legarci. Ha corpi di neonati come orecchini.

La lingua fuori, grondante sangue (nella maggior parte dei templi, il sangue degli animali sacrificati viene fatto scorrere sulla Sua lingua. Dove i sacrifici animali sono vietati, viene fatta scorrere una miscela a base di kukkuma rossa). Kali è, essenzialmente, assetata di sangue.
Sul significato della lingua sporgente è da notare che essa accomuna molte raffigurazioni di dee 'oscure', fra cui le greche Gorgoni, e Medusa in particolare, e ha una provenienza iconografica molto antica: essa può anche evocare il flusso del sangue mestruale nell’associazione bocca-vulva (e più sotto trovate la raffigurazione di una Kali mestruata). La lingua di Kali è centrale nella sua iconografia, tanto che il più antico cenno a lei nei Veda la nomina come una delle lingue di Agni, Dio del fuoco.

Con nelle mani (in genere 4, ma in alcune raffigurazioni sono più numerose):
un’ascia insanguinata e altre armi
una testa – maschile – tagliata da cui gocciola sangue
un piatto per raccogliere il sangue

Raffigurazioni antiche e più recenti di Kali nella forma irata, in battaglia sul corpo di Shiva

Kali inoltre sta sul corpo di Shiva (nel tantrismo raffigurata in attività sessuale - sopra, come avrebbe voluto la prima moglie di Adamo, Lilith)
E’ generalmente in posa ‘danzante’ o in movimento, una gamba alzata e l’altra a terra. Energia mobilizzata, interamente.
E’ attorniata da cani e sciacalli, abita nei campi di battaglia e nei crematori (dove si trovano per lo più i templi di Kali), i luoghi tradizionalmente considerati ‘impuri’.
Talvolta cavalca una tigre come Durga ed è accompagnata da gatte, notoriamente battagliere.
Il suo impatto è sempre forte, senza dubbio, e la componente olfattiva si associa a quella visiva: nero, rosso, sangue . Come ho detto, entrare in un tempio di Kali, incontrare la sua murti, non è un’esperienza che si dimentica.


Kali, Shakti e Durga

Kali è associata a Shakti e Durga, entrambe controparti di Shiva, da lui inseparabili.

Shakti, abbiamo detto, è energia e azione, è una forza dinamica, che non ha inizio né fine, che si trasforma continuamente restando sempre la stessa – è l’eterna danza degli elementi, il movimento degli atomi e dell’universo. Nella maggior parte delle raffigurazioni, è rappresentata fusa con Shiva in una figura unica di cui Shakti è il lato sinistro. Il nome Shakti viene dalla radice shak, potenzialita, potere di produrre, per cui Ella è anche la Madre cosmica, l'energia generatrice pura.

Durga, che è vestita come una fanciulla, ma agisce come un killer, è una Dea guerriera che cavalca una tigre, combatte i demoni e ha numerose braccia armate. Rappresenta i principi del sesso e della violenza che fanno girare la grande ruota della vita.

Kali contiene qualcosa di Shakti e di Durga, ma i suoi simboili sono chiaramente tali da evocare bhaya e vibhitsa, cioè paura e repulsione, portandoci in contatto con gli aspetti oscuri e ripugnanti del cosmo – e quindi del divino – aspetti che in genere si tende a negare, reprimere o sopprimere


Kali delle origini, erede dell'Antica Dea

E’ difficile rintracciare la storia di Kali così come è difficile tracciare i contorni del suo culto oggi, anche se le sue origini sono con ogni probabilità pre-ariane, dravidiche. Vi sono infatti fra i reperti dell'epoca figurine di dee la cui energia ricorda quella delle shakti e di Kali in particolare..

Il nome Kali compare per la prima volta nei Veda ariani (VIII/V a.C.) , cioé in epoca già patriarcale, nel Mundaka Upanishad come la nera tra le sette lingue fiammeggianti di Agni, il dio del fuoco.
Un antecedente della figura di Kali appare invece nel Rig Veda, con il nome di Raatri, che è considerata anche una figura antica di Durga.
Kali è nominata nel Mahabaratha, sul campo di battaglia.
Nel periodo a cavallo dell'inizio dell'era cristiana, una dea sanguinaria simile a Kali di nome Kottravai fa la sua comparsa nella letteratura del periodo. Come Kali ha i capelli sciolti, ispira terrore in chi la avvicina e festeggia sui campi di battaglia disseminati di morti. È probabile che la fusione della sanscrita dea Raatri con la indigena Kottravai abbia prodotto le terrifiche dee dell’induismo medievale.
A quell'epoca risale la maggior parte delle caratteristiche della figura di Kali come è conosciuta ai giorni nostri.

Fu con l'epoca dei Purana nella tarda antichità che venne dato a Kali un posto nel pantheon induista. Kali, o Kalika, è descritta nella Devi Mahatmya (nota anche come Chandi o Durgasaptasati) dal Markandeya Purana, databile tra il 300 ed il 600 d.C., dove si afferma che sia un’emanazione della dea Durga, una distruttrice di demoni o avidya (parola sanscrita che significa anche ignoranza, assenza di saggezza), comparsa durante una battaglia tra le forze divine ed anti-divine. In questo contesto Kali è considerata la forma “potente”, o piuttosto irata, della grande dea Durga.

Come altrove, anche in India si ritiene come già detto che vi sia stato un mutamento nel pantheon divino in corrispondenza con le invasioni ariane, portatrici di Dei maschi, celesti e guerrieri, che soppiantarono le precedenti culture dravidiche o pre-ariane dominate dalla religione della Dea, legata alla terra e alle qualità del femminile.

Nel mondo indu, la stratificazione mitologica delle ere pre-patriarcale e patriarcale è ancora leggibile nel pantheon divino, dal momento che il culto della Dea, a differenza che altrove, riemerse nelle epoche seguenti tali cambiamenti sociali e divenne in alcuni secoli addirittura predominante. Come risultato, ogni Dio ha una controparte femminile e vi sono alcune scuole – l’induismo è in realtà un insieme di centinaia di scuole anche molto diverse teologicamente – in cui il divino è percepito come innanzitutto femminile e i cui maestri sono devoti di una Dea.

In una versione dell'origine di ogni cosa Kali ci si presenta come la Grande Dea Madre - nella forma che ricorda la Dea nelle culture pre-patriarcali - a generare ogni cosa: prima che fossero creati il sole, la luna, la terra e gli altri pianeti, quando vi era solo ed ancora l’oscurità, la Madre, la Senza Forma Maha Kali, divenne tutt’uno con l’Assoluto, Maha Kala. Dalla loro unione ebbe origine la manifestazione.




STORIE E MITI

Chi è Kali? Mito dell'origine di Kali
Fra i molti, il più diffuso mito è quello in cui Kali appare durante la battaglia che infuria fra i deva e i demoni e in particolare fra Durga e i demoni, allorché Durga incontra un demone che neppure lei riesce a sconfiggere, perché ad ogni goccia del suo sangue che cade a terra sorge un'altro demone - o più demoni - subito pronti a combattere. In quel momento, dal sopraciglio aggrottato di Durga, o- in altre versioni - dall'energia congiunta dei deva, appare Kali, La Dea in grado di sconfiggere tale nemico, in grado di bere immediatamente il suo sangue prima che esso cada a terra.
Questo è un elemento importante: quando tutto è perduto, quando le forze, sia pure divine, non sono sufficienti e la sconfitta si profila inevitabile, a quel punto appare Kali, il volto della Grande Dea che combatte e vince anche quel demone, anche quel pericolo.
Kali però è la guerriera che entra nella battaglia senza più distinguere fra buoni e cattivi, fra deva e demoni. La sua forza distruttrice è lanciata al di fuori di ogni legge e regola. Più combatte, più diventa forte e più ‘si ubriaca’ del sangue dei nemici uccisi, tanto che anche quando la battaglia è finita, Kali continua la sua danza di morte uccidendo chiunque le capiti a tiro e sembra inarrestabile. I deva, impauriti, chiedono aiuto a Shiva, consorte della Grande Dea e dunque anche di Kali. E Shiva, ve
dremo poi come, riesce a placarla.

Kali ha in sé esplicitamente il doppio volto della rabbbia estrema: è l’unica energia che può proteggere quando ogni altra protezione si rivela inutile e nello stesso tempo non può più prendere la mira, è completamente cieca al mondo.
Come spesso accade con le dee del pantheon induista, un lato importante di Kali è il suo essere energia e azione; senza di lei anche il Dio è inerte e privo di vita.


Miti e racconti su Kali
Nei miti e nelle leggende, in qualche modo Shiva riesce a ‘placare’ Kali. Fatto interessante, esistono sono numerosissime versioni di come ciò accada, al contrario del mito della sua origine, che ha in genere poche varianti. Molti dei racconti ci mostrano i 'legami' e i ruoli del femminile in india, quei ruoli a cui Kali viene richiamata da Shiva. Altri invece ci mostrano le forze creative che possono trasformare l'energia furiosa in energia trasformativa e positiva.
Alcune delle leggende che riguardano il suo riapparire ci mostrano invece le situazioni in cui Ella è chiamata a manifestarsi.

Shiva si reca sul campo di battaglia dove Klai imperversa inarrestabile e si trasforma in un bambino piccolo, nascondendosi fra i morti e i feriti. Kali, avanzando, si trova davanti a lui e si ferma, viene pervasa dall’istinto materno universale femminile che la trasforma nella Dea chiara, dai cui seni scorre il latte per il bimbo. Ella è la Madre.

Nel mito più diffuso, Shiva, sempre con l'obiettivo di fermarla, si sdraia sul campo di battaglia, ai suoi piedi e Lei si trova su di Lui, si accorge di Lui, lo riconosce. Ci sono due varianti di questa versione.
Nella prima, Kali si rende conto improvvisamente che stava per calpestare suo marito, si spaventa e ‘rientra’. Viene sottolineato il suo ruolo di moglie ed enfatizzata la sottomissione - sociale e culturale - della moglie al marito, tipica della società indiana.
In una seconda versione, tantrica, Kali riconosce Shiva posto ai suoi piedi e, nel salire su di lui, è presa da desiderio sessuale per Lui e e comincia a fare l’amore con Lui. L'energia guerriera si trasforma in energia erotica. In alcune versioni del culto tantrico è la sacerdotessa - significativamente meglio se mestruata - a unirsi con il devoto e trasformarlo in questa unione risvegliando la sua kundalini e guidandolo nella conquista spirituale.

In altri racconti, Shiva trova il modo di distogliere Kali dalla sua danza distruttiva mettendola a confronto.
In uno si pone di fronte a Lei e ride e la prende in giro per come è brutta. Lei si specchia in Lui, riconosce il suo stato, si bagna e ne esce splendente.
In un'altro La invita ad una gara di movimenti e danza sfrenata, e Lei ad un certo punto si ‘vergogna’ di mostrare le parti intime e la sorpresa le fa tirare fuori la lingua (quest'ultima versione, pare, ottocentesca)

Ma non tutti racconti su Kali parlano del campo di battaglia: in una storia, Ella litiga con Shiva, suo marito, e si allontana da lui, furibonda.
Convinta dal saggio Narada a tornare da Lui, ella si avvicina a Lui e vede in un raggio di chiara luce una Dea nel suo cuore.
E’ lei stessa, ma Kali non sa di aver già abbandonato la su forma ‘oscura’ e di primo acchito pensa si tratti di un’altra Dea, e ne è gelosa. Chiarito l’equivoco, a Kali viene attibuito il nome di Tripura-Sundari, la bellissima dei tre mondi.

Di molte dee stile Kali nei villaggi si narra che si trattasse di fanciulle a cui accadde qualche tragedia in seguito alla quale si trasformarono nella Dea furiosa. Spesso si tratta di violenze e soprusi, che Kali viene per vendicare.
Molte storie di Kali ci dicono come Ella appaia quando una legge viene violata. Ho già citato il caso del Mahabaratha, quando a Draupadi, moglie dei pandava viene inflitta dai kourava la vergogna di essere trascinata al centro della sala, i capelli sciolti, e subire il tentativo di spogliarla delle sue vesti - evento che viene scongiurato dal magico allungarsi all'infinito del suo sari. Da quel momento in poi, Draupadi si trasforma in Kali, fino al compimento della vendetta.


CULTI E RITI

Culti e riti di Kali in India

Ben lungi da una ricerca minimamente esaustiva in questo campo, vi presento qui alcuni spunti e aspetti del vasto culto di Kali, spunti che mi hanno fatto riflettere o che mi hanno insegnato qualcosa.


Nel tantrismo, d’altro canto, il principio è la capacità di riconoscere, attraverso Kali, il proprio lato oscuro. Ognuno di noi ha in sé Kali, e il devoto è aperto a riconoscere in lei l'oscurità che appartiene anche a lui. Facendo ciò, il devoto esce dall'ordine sociale e culturale, dalla superficie, per entrare nelle profondità dell'essere. L'azione 'pura', il comportamento retto, non possono assolvere la funzione di salvezza dal samsara materiale, non garantiscono la protezione dello spirito. La via tantrica attraversa tutte le azioni impure, degradanti – quelle azioni che i bramhana vaishnava non farebbero mai. Tutti i tabu vengono infranti, e la via porta a contatto con la morte, il sangue, la putrefazione. Invita a riconoscerle dentro di sé per poter stare davanti a Kali in piedi, a testa alta, sapendo forse infine di essere scintilla di quella stessa energia.

Nella bhakti, il devoto si pone di fronte a Kali come un bambino indifeso, alla sua totale mercè. Si rivolge a Lei come alla Madre, che riconosce tale in ogni suo volto, anche quello terribile. Canta le sue lodi e rivolge a Lei la sua adorazione. Scorre amore, fiducia, anche nella possibilità di una distruzione, che il bhakta accoglie come un tornare a Lei. La disponibilità al sacrificio, la totale accettazione della Sua potenza di morte hanno come risultato che le polarità Dea della Vita - Dea della Morte siano in equilibrio, ed esse vengano comprese come una.
Alla corrente bhakti, che talvolta assorbe in sé alcuni aspetti del tantrismo, sono appartenuti molti maestri degli ultimi due secoli, fra cui Ramprasad, Ramakrishna e Vivekananda.

Può la misericordia essere trovata nel cuore di Colei che è nata dalla pietra?
Non fu Lei che senza pietà calpestò il petto del suo signore?
Gli uomini ti chiamano Misericordiosa, ma non v’è traccia di misericordia in Te, Madre.
Hai tagliato le teste ai figli degli altri, e ne hai fatto la collana che porti al collo.
Non importa quanto io ti chiami “Madre, Madre”. Mi senti, ma non mi ascolterai.


Ramakrishna

Le stelle sono oscurate,
Le nuvole coprono altre nuvole,
E' oscurità vibrante, risuonante;
Nel vento ruggente che soffia turbinante
Vi sono le anime di un milione di folli,
Appena fuggiti dalla casa-prigione,
Alberi divelti alle radici,
Spazzati via dalla strada.
Il mare si è unito alla mischia
E fa turbinare onde gigantesche
Per raggiungere il cielo nero come la pece.
Il luccichio di una tenue luce
Rivela da ogni parte
Migliaia e migliaia di ombre
Di morte, luride e nere.
Spargendo calamità e dolori,
Danzando folle di gioia,
Vieni, Madre, vieni!
Perché terrore è il Tuo nome,
La morte è nel Tuo respiro,
E la vibrazione di ogni Tuo passo
Distrugge un mondo per sempre.Vieni, Madre, vieni!
La Madre appare
A chi ha il coraggio d'amare il dolore
E abbracciare la forma della morte,
Danzando nella danza della Distruzione.

Vivekananada


In molte aree dell'India, Kali o una delle dee di 'tipo Kali', che con Kali condividono alcuni degli aspetti iconografici, è come abbiamo detto all'inizio, l'altro volto, quello oscuro, della duplice Dea.
La Dea doppia viene adorata nei villaggi di tutta l’india: In genere è un semplice pietra arancio o rossa o giallo intenso, cui vengono posti due occhi di metallo dipinto. L’idea probabilmente è che essa sia semplicemente il volto della Dea, il cui corpo è il villaggio intero. Una volta all’anno, in autunno, la Dea si mostra come Kali, assetata di sangue, e le viene in genere sacrificato un bufalo – maschio. Durante la cerimonia, le donne si lasciano andare a modalità isteriche e all’espressione delle emozioni na-scoste, mentre gli uomini camminano nel fuoco, il sangue scorre e il dolore viene sperimentato. Il lato selvatico prende il sopravvento. La rabbia viene espressa.
Nei villaggi indiani, nelle campagne, l’adorazione della Dea come Kali una volta all’anno rappresenta il tempo (e il luogo) del selvaggio.
Il tempo e il luogo del pianto, del dolore, della possessione, della danza sfrenata, del sacrificio di sangue.
A Kali si offre un tempo limitato e ripetitivo – quell’una volta ogni anno - e si delimita lo spazio interno al villaggio, entro il quale è regina la sola Devi. Le murti di Kali vengono installate all’esterno. la Dea abita il selvaggio fuori.
Nel culto di Kali, trova spazio l’espressione senza freni del dolore, specialmente da parte delle donne, e un tributo di sangue viene pagato con il sacrificio di un animale – precedentemente si trattava di sacrifici umani, poi banditi dagli inglesi. Limiti precisi aprono e chiudono il rito. All’interno, i confini si perdono, le energie erompono, ciò che deve essere compiuto si compie. L’azione che ha luogo nel rito, al di fuori dell’ordine, è esente da karma. L’ordine e ciò che sta fuori si definiscono a vicenda. Entrambi appartengono alla Dea, che tutto include.

A Kali, una danza Katakali del sud dell'India:



 

ALCUNE DEE VICINE A KALI
Da diverse aree geografiche e di diverse epoche, sono numerose le dee di 'tipo Kali', che con Kali condividono aspetti, energia e parte dei miti e racconti.

Già nell'induismo, abbiamo visto, Il collante fra le diverse scuole è una lingua comune costituita dai riti, dalle immagini e dai simoili associati ad ogni divinità, che ne definiscono con chiarezza l’ambito nel linguaggio religioso, il quale è dunque soprattutto iconico.
Per questo motivo, Kali può essere considerata un genere, oltre che una preecisa Dea: vi sono in realtà in India una serie di Dee di 'tipo Kali', che variano fra loro per i particolari iconografici, appunto.

Una delle più famose, comune anche al buddismo, è Tara nella sua forma irata.
Qui trovate alcune brevi notizie su di Lei e su altre Dee, anche in questo caso senza alcuna pretesa di completezza.


Tara


Tara appartiene sia all'induismo che al buddismo.
Nel buddismo, le figure femminili ‘irate ’ sono numerosissime.

Tara è la principale deità femminile adorata dal VI° d.C. in poi; ha radici in molte figure più o meno ‘minori’ sia di area induista che dei culti locali antecedenti la diffusione del buddismo e da esso incorporati. Tara comprende, fra le sue 21 forme principali, una decina almeno di raffigurazioni ‘irate’, alcune delle quali assai vicine nella raffigurazione alla Kali indiana.
La sua icona è spesso in questi casi nascosta ai più, nel senso che è richiesta una specifica iniziazione per poterla contemplare in meditazione, a conferma della pericolosità della sua energia; ciononostante, la sua funzione è sempre protettiva, di difesa contro I nemici esterni e interni di chi percorre la via della meditazione.
Tara non è comunque la sola Dea irata all'interno del mondo buddista, come dicevo.
In una visita al Gompa tibetano di di Pomaia ho notato in un angolo di uno dei numerosi altari una figurina avvolta nella stoffa, inconfondibilmente una delle Dee Furiose: nera, la lingua rossa fuori, una corona di teschi, uno scheletro a coppa pieno di sangue. Si trattava di Palden Lamho, Dea dalle origini incerte e dall’iconografia simile alla Kali, anche se con sue caratteristiche curiose, come la cavalcatura, un mulo. E’ ritenuta una protettrice del Dalai Lama.

Hathor- Sekhmet


Il Mito di Sekhmet ce la racconta con una storia assai simile a quella di Kali.
La storia racconta di quando il Dio del sole Ra chiama in aiuto la Dea Hathor (Dea mucca della fertilità, tra le altre cose) perché degli uomini, ritiratisi su una montagna, stanno tramando per ucciderlo.
Hathor si trasforma allora nella leonessa Sekhmet, li attacca e li uccude. Ma il sapore del sangue Le è a tal punto gradito che è evidente che non si fermerà. Allora Ra, per arrestare la sua furia distruttrice, mescola dell’ocra rossa alla birra d’orzo e gliela porge da bere.
Sekhmet apprezza molto questa bevanda, ne trangugia tanta e solo dopo essersi ubriacata ritorna in sé come la dolce Hathor .
In altre versioni del mito, gli Dei decidono di versare vino rosso o birra rossa in enormi quant-tà nel Nilo, che si colora in modo da sembrare in un fiume di sangue. La Dea, che si era appisolata, si risveglia e, assetata di sangue, scorge il fiume rosso e cominica a berne fino a ubriacarsene.
E questa è la ragione per cui durante la festa del nuovo anno la birra rossa scorreva a fiumi.

Anat


Anat è una Dea guerriera della cultura Ugaritica, in auge probabilmente dal 2,000 al 1.200 a.C. circa, passata in seguito agli egizi, dove diventa la dea patrona del faraone.

Ella condivide con le figure di Sekhmet e Kali la passione per il sangue e l’esultanza nell’uccidere. Come Kali, è descritta con molte braccia e molte teste.
Appartenente ad una cultura già patriarcale, nei miti si comporta in modo maschile, godendo nell’uccidere chi la deride sostenendo che le armi non sono adatte alle donne. Il suo scopo in genere è quello di proteggere Baal, suo fratello, dio della pioggia e dei temporali, per cui coltiva una grande passione.

Ella incarna un principio comune a molte dee del Medio Oriente: Anat personifica un altissimo livello di energia che può manifestarsi sia come energia erotica che come energia guerriera, nella passione estatica del sesso come della guerra.



Rangda


Probabilmente direttamente derivata dalla Kali indiana, nella mitologia balinese contemporanea troviamo Rangda, un esempio di Dea furiosa che si configura attraverso l’unione di caratteristiche guerriere simili a Sekhmet e Kali – ma anche molti tratti delle dee ‘maledette’, come la sua abitudine di aggredire i neonati.

Rangda ha un aspetto terrificante, I grandi occhi rotondi sporgenti, I grossi seni pendenti, la lingua rossa che sporge dalla bocca, lunga fin quasi alle ginocchia.
Ha la bocca irta di denti e zanne ricurve, le unghie ad artiglio e lunghi capelli grigi scompigliati.

Da notare che nella cultura balinese il cielo è divino, mentre il mare è demoniaco, come accade nella migliore tradizione patriarcale, Rangda è con ogni probabilità l’erede di una pre-hindu Dea del mare , trasformata in demone con l’iter che più volte nel corso della storia è accaduto nel passaggio alle culture patriarcali.




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Ringrazio Laura Corradi per il prezioso materiale su Shakti e Durga




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Note:
(1) Devi, dalla radice sanscrita dev, che sta per 'luminoso', da cui i Deva, gli dei e le Devi, le dee. La radice dev è la stessa da cui derivano nella nostra lingua i termini diva, divino, etc.
(2) la Murti è una manifestazione della Dea o del Dio: attraverso la materia, sia essa pietra, legno, metallo o altro, è la Dea o il Dio stesso a farsi presente. Le immagini delle diverse divinità si trasformano nel mondo indù in murti attraverso complessi e antichssimi rituali, in cui la Dea o il Dio vengono via via invitati - chiamati, evocati - all'epifania.
(3) Nei templi della triplice Dea, comunque, Kali si manifesta nella sua forma più gentile, associata alle armi e alla battaglia, ma senza lingua fuori e con una adorazione che esclude i sacrifici animali in favore di offerte di frutta e fiori, come vuole la tradizione vaishnava, in cui l’aspetto dominante di Devi è quello dato da Lakshmi













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