Galleria delle Dee
Incontrare le Dee/gli Dei attraverso storia, mito, immagini e racconti



ATTIS, Prefigurazioni della Pasqua


    

Il mito di Attis narrava che sulla frontiera della Frigia vi era, nei pressi di Pessinonte, una scogliera deserta chiamata Agdos, dove si adorava Cibele in forma di roccia. Papas, il dio del cielo, poi assimilato a Zeus dai mitografi greci, si era innamorato della dea. Un giorno, tentando invano di unirsi a lei, sprizzò il suo seme che cadde sulla roccia. Secondo un’altra versione, egli emise il seme nel sonno. La roccia, fecondata, generò un androgino, Agdistis, così selvaggio e indomabile da preoccupare gli dei. Un giorno essi decisero di castigare la sua tracotanza incaricando dell’arduo compito Dioniso.

C’era nelle vicinanze una sorgente alla quale Agdistis soleva dissetarsi quando era accaldato, durante le lunghe cacce nei boschi. Dioniso, che aveva il compito di separare la virilità da lei, ne tramutò l’acqua in vino. Agdistis bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno invincibile; ed il dio, che stava in agguato, ne approfittò per legare con una fune il suo membro maschile a un albero.

Quando Agdistis si fu destato dall’ebbrezza, balzò in piedi con uno slancio così poderoso che permise alla fune di evirarlo, mentre un fiotto di sangue inondava la terra: sangue magicamente fecondo che dal terreno sorse un melograno con un frutto. Un giorno, Nana, la figlia del dio fluviale Sangarios, che si trovava a passeggiare in quel luogo, vide una melagrana pendere da un arbusto. La fanciulla colse il frutto e la mise nel grembio: ma la melagrana sparì improvvisamente fecondando l’ignara principessa. Sangarios, sdegnato, fece imprigionare la figlia come donna disonorata, condannandola a morir di fame, ma Agdistis la nutrì con frutta e cibi divini finchè ella partorì un bambino. Il dio fluviale, irremovibile, fece esporre il neonato, che sarebbe morto se non fosse stato nutrito da un caprone con un suo misterioso “latte”. Lo si chiamo Attis, perché nella lingua lidica un bel bambino si diceva attis o forse perché in quella frigia il caprone era detto attagus.

Attis divenne un giovinetto così bello da fare innamorare Agdistis. La selvaggia divinità lo accompagnava sempre a cacciare per i boschi. Un giorno, il re Mida di Pessinonte decise di dargli in moglie la figlia Atta. Mentre si celebravano le nozze, comparve improvvisamente Agdistis che, al suono di una siringa, il flauto dei pastori sacro a Pan, scatenò la follia fra tutti i presenti. Attis prese a vagare per la radura stracciandosi le vesti e gemendo finchè, afferrato un pugnale rituale, si evirò sotto un pino e dissanguato morì. Dal suo sangue colato sul terreno fiorirono viole mammole.

Agdistis, pentita ed addolorata, chiese a Zeus di resuscitare Attis, ma ottenne soltanto che il suo corpo non si decomponesse mai, che i capelli continuassero a crescere e il dito mignolo rimanesse vivo e si movesse. Secondo un’altra versione, Attis si era trasformato in un pino sempreverde. Infine, Agdistis trasportò il corpo (o il pino) a Pessinonte dove lo seppellì, fondando un collegio di sacerdoti e indicendo una festa in suo onore.

La versione del pino divenne poi quella accettata, tant’è vero che cantava Ovidio: “Il pino dall’ispido capo e dalle succinte chiome, caro alla madre degli dei, se è vero che il cibeleo Attis per lei si spogliò della sua figura d’uomo indurendo in quel tronco”.

Il pino evoca l’Albero Cosmico ed il passaggio dal manifestato al non manifestato. Il pino è ermafrodito: produce fiori sia maschili sia femminili. In aprile-maggio, quando si aprono gli amenti maschili, il vento diffonde il loro abbondante polline giallo su tutto il terreno circostante, quasi fosse una nube fertilizante.

A che cosa alludeva il mito di Attis ?

 

Le feste in onore di Attis e di Cibele.

In Frigia, e poi in Roma, il rito che rammentava le feste in onore di Attis e Cibele, si svolgeva nella seconda quindicina di marzo, dal 15 al 28, intorno all’equinozio primaverile. Cominciava il 15, che nel calendario lunare antico era il giorno della luna piena e culminava nei giorni che segnavano il passaggio del sole dallo zodiaco meridionale a quello settentiornale.

Cominciava con “l’ingresso della canna”. I cannofori portavano nel tempo del Palatino alcune canne tagliate in ricordo di quelle in mezzo alle quali si era ritrovato il neonato Attis, esposto da Sangarios sulle rive del fiume. Iniziava anche un periodo di penitenza durante il quale ci si doveva astenere dai cibi ctonii che non favorivano il distacco spirituale, la purificazione: dal maiale agli agliacei.

Il 22 marzo si svolgevano i “Tristia” che commemoravano la passione e la morte di Attis: i sacerdoti dalle dea tagliavano un pino sacro e lo portavano al tempio di Cibele, poi il tronco veniva avvolto in bende di lana e ornato di ghirlande di viole per simboleggiare il cadavere di Attis e ricordare il sangue sparso sulla terra. Il giorno dopo squillavano le trombe per annunciare il detto ”Sanguem”, rito presieduto dall’archigallo, il sommo sacerdote, che s’incideva il braccio e presentava il suo sangue come offerta al pino sacro, al suono di flauti e cembali, raganelle e tamburi. A quel segnale gli altri sacerdoti, i galli, si scatenavano ina una danza sfrenata flagellandosi e lacerandosi con coltelli. L’archigallo, il primo sacerdote, poteva evirarsi a imitazione di Attis e lanciare l’organo virile alla statua della dea Cibele. Tutto quel sangue sparso aveva la funzione di rianimare il dio morto e con lui la natura.

Dopo i “Tristia” seguivano, il 25 marzo, gli “Hilaria”, in giorno in cui si credeva che il sole avesse superato l’equatore celeste e fosse “risorto” nella parte settentrionale dello zodiaco, alla mestizia succedeva la gioia per festeggiare la resurrezione del dio. Si diceva che la sua tomba si fosse aperta e il dio si fosse levato fra i morti per ricongiungersi con la Grande Madre. E il sacerdote, toccando con un balsamo le labbra dei fedeli ancora piangenti, sussurava loro la buona novella: che avrebbero trionfato, come lui, sulla morte. “Confortatevi, o iniziati, il dio è salvo: anche a voi toccherà salvezza dopo tante fatiche”.

Il 27 marzo si concludevano le feste portando in processione la statua argentea di Cibele su un carro tirato da buoi fino al fiume Almo, nel quale l’archigallo la immergeva insieme con gli altri oggetti sacri. Terminate le abluzioni, si adornavano di fiori il carro e i buoi per ricondurre nel suo tempio la dea, in onore della quale si celebravano i ludi nel Circo Caiano, che Caligola aveva fatto costruire sul Monte Vaticano.


 




Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it nel 2011

Fonti:
Dai libri “Planetario” e “Calendario” di Alfredo Cattabiani












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