Per non cadere in trappola
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Uno spazio per ricordarci di camminare sulla terra

Il Cristo a S. Apollinare in classe
Breve resoconto di una visita, di Anna Pirera


  Vi si arriva da un grande parcheggio, nella campagna di nulla contemporaneo che circonda Ravenna, uguale a quella di altre città padane.
Forse proprio perché in quel nulla, è come attraversare una porta dimensionale, uno stargate.
Non sapendone nulla, non avevo aspettative. Manco avevo idea dell'epoca, della chiesa. Mi era stato chiesto: "ti interessa visitare una chiesa?". Il nome non mi diceva niente. Sempre stata ignorante in arte, bigiavo appena potevo, al liceo.

Ma per le chiese ho sempre avuto curiosità. Riservano sorprese, talvolta. Risvegliano memorie nascoste, riattivano
tracce dimenticate.
E poi entri e c'è quello spazio chiaramente vuoto che sta lì come uno spazio aperto, come una piazza antistante, un
luogo per la gente che sta 'davanti' all'abside. Intendo dire: nelle chiese, di solito, nelle navate, e in quella centrale
soprattutto, si è 'dentro' lo spazio, avvolte dalla sua energia, rimpicciolite dai soffitti altissimi, portate dentro di noi
dalla densità di ciò che ci circonda, intimorite e talvolta commosse, talvolta disturbate. Ma comunque dentro.
Lì no. Lì è come stare appunto nello spiazzo davanti, sì catturate da un'atmosfera che pervade le navate, ma
un'atmosfera leggera, aerea nonostante le travi scure scure dei soffitti.


    

E poi lo sguardo si volge, naturalmente, là, verso il chiarore che emana dall'abside.
E viene inondato d'oro e di luce. Là lo spirito è raffigurato in tutto il suo splendore di primavera verde e ogni animale,
pianta, essere vivente, portatore di simbolo, ci offre il libro del mondo in rapporto armonico.

 

Del Cristo si manifesta la croce ultraterrena, nel cielo dove i pesci dell'era dell'amore si dispongono in file come nella corrente di invisibili fiumi.

E la varietà naturale, sia pure ordinata, di piante, pecore, uccelli e presenze allarga l'orizzonte intorno alle braccia levate del santo, che al centro regge ed evoca l'epifania divina.

Ma non è il simbolismo, la cui sostanza in realtà mi sfugge, per erudizione mancata, a colpire i miei occhi, quanto l'intensità di quello splendore che non ha ombra della sofferenza cui siamo state abituate a chinare il capo in altre chiese.

Molto, molto oltre, quella luce divina così piena dona un senso di espansione senza confini e mi ha attraversato il corpo come un impulso a scendere in ginocchio, per aprire le porte a quanto, sepolto nella memoria più antica, ora improvvisamente si mostrava a me.


Non era luogo e tempo per gesti così teatrali, dopotutto: furtivamente, ho rubato un piccolo frammento di quello che
avrebbe potuto essere, sfiorando con la mano il pavimento ai suoi piedi, per portare con me qualcosa di quella energia,
qualcosa di quel Dio erede di Attis e Tammuz, del Dio della vegetazione, del Figlio dell'Antica Madre, di quel primo Cristo
che tanto fu amato dalle donne, che costituirono la maggioranza dei suoi seguaci nei primissimi secoli del cristianesimo.

Quando il Cristo era altro, un'altra storia, un altro mondo.

E il Cristo disse: "io sono la via, la verità e la vita"

               

Testo di Anna Pirera per www.ilcerchiodellaluna.it 2008

Immagini tratte dalla rete

Inserito nel sito https://www.ilcerchiodellaluna.it l'11 marzo 2008

 






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