Per non cadere in trappola
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Uno spazio per ricordarci di camminare sulla terra


Apollo

Ad Apollo bisogna arrivarci, non è un Dio facile.
Apollo è bellezza, è guarigione.
La bellezza è teatro: il coraggio di una rappresentazione perfetta, l’impeccabilità dell’immagine. Senza schiamazzo.
Apollo e Artemide Diana sono gemelli, nascono dall’unione di Giove con Leto.
Leto è la qualità femminile della letizia, una divinità semplice e molto amabile.
Leto prova piacere a stare con i figli, se li gode, è uno stato della mente, è il piacere del proprio potere creativo, senza esaltazione, quasi con modestia, come a dire che essere contenti di sé stessi non significa necessariamente dare all’occhio.
Leto sta sempre fuori da tutte le guerre, Maestra di leggerezza.
Apollo guida il carro del Sole, Artemide è il potere sottile della Luna, il potere della riflessione.
La riflessione è una falce di Luna, dove si raccolgono i desideri e vengono resi leggeri: è il potere del discernimento.

Il pullman era partito da Acqui Terme la settimana di Pasqua.
Quell’anno era nevicato in Aprile e anche la Grecia sembrava avere preso freddo; anziché andare incontro all’estate con passo di danza, ci accoglieva con la nebbia del primo mattino.
All’inizio del viaggio: le Meteore.
Rocce a picco sfumavano verso l’alto in mura di mattoni e di pietra che si alzavano su fino a sorreggere tetti eleganti come pagode; mille gradini da salire.
Nelle Chiese ortodosse compare poco la Croce, si dà molto spazio al momento della trasfigurazione, il momento in cui Cristo si mostra ai discepoli nella sua veste di Luce: qui siamo ad Oriente, dove nasce il Sole; le icone sono coperte di oro.
Il corpo trasfigurato di Cristo è nella Terra di Apollo.
Attraversammo il Parnaso in una marcia silenziosa e ovattata, montagne di nebbia, una pioggia sottile, come di novembre a Milano.
Avevo sempre pensato che il Parnaso fosse un colle, una cosa in tono minore messa lì, di contorno all’Olimpo; invece ci trovammo ad attraversare per ore una catena di monti che formavano ampie conche, montagne grigie, sicure, abbracci potenti di Terra per non fare scappare il silenzio.
Era quasi come essere in Tibet, c’era la sospensione del tempo.
Si arriva ad Epidauro da una strada che attraversa la campagna e crea curve dolci che si arrampicano senza fatica tra una vegetazione semplice, spontanea, diresti, tutto sommato, normale, se non fosse per quel senso di grazia, di “niente sembra fatto per caso”, che ti appaga ad ogni passo dandoti la sazietà della bellezza.
Ogni volta che guardi una foglia o un albero o un mucchio di pietre o lo spazio circolare che improvvisamente si allarga, ti senti come quando arrivi ad un appuntamento e scopri qualcuno che ti sta aspettando e il respiro si calma: sei nel grande teatro di Epidauro.
Il fatto che sia un luogo abbandonato, andato in rovina, sembra essere solo un vezzo della memoria, un fare di signorile ironia, come fa chi, per non essere disturbato, ha tirato giù un velo, una spolverata sottile di vecchiaia, di dimenticanza, tanto per potersi ritirare un poco con se stessi perché la bellezza possa trasparire, senza infastidire con troppa evidenza.
Epidauro è un perfetto Mandala del suono, un luogo di chiara comunicazione: ogni piccolo rumore, proveniente da un punto qualunque della scena, arriva fino all’ultimo posto della gradinata, nessuno resta escluso, basta aver voglia di stare a sentire.
La lezione di Apollo è quella di una materia perfetta, la bellezza è anima, funzione ed è già dentro, devi solo sentirla e lasciarla venire fuori, la bellezza è la materia guarita, è comunicazione...

La sera, ad Atene, tre signore dall’aria per bene e un po’ compassata, decisero di andare in vita, come ragazzine in gita scolastica: “Il Licabet è la montagna che domina Atene, di lì si vede la città illuminata, cerchiamo un Taxi”.
E il Taxi arrivò come fosse stato chiamato, e si fermò vicino a noi senza prendere in considerazione nessun altro, era giallo limone, come ogni buon taxi della tradizione.
Al volante, il giovane autista era un uomo di assoluta bellezza che potevi solo guardare con rispetto e stupore, non c’era altro da fare.
Era così perfetto da risultare assolutamente normale, con i jeans e la t-shirt, straordinario dentro la regola.
Fu con noi di squisita gentilezza, ci fece da Cicerone, ci accompagnò nel salire i gradini, dando il braccio a chi aveva bisogno di appoggio.
Apollo, raccontato come un Dio severo, quella sera fu con noi assai cortese.




Dal libro "I giardini di Anteros, Noti Vincelli, © 2002 Edizioni del Cigno


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