Femminile
Parole e versi che ci hanno ispirato nel mondo del femminile


Saffo, la Fonte d'Amore
Testo di Elke*




Soavi danzano fanciulle,
intonando cori fioriti. Dika è in mezzo a loro,
ed Arignota, e Gongila bella,
v’è Cleis con la mitra scarlatta.
I loro passi sono legati
dalle morbide braccia intrecciate.

Soavi le voci sui freschi prati di Lesbo;
di serti di rose, di cipero e di aneto,
ai capelli è amabile ornamento.
Coronata di viole, Saffo,
dolcemente sorride fra le Fanciulle,
illustre poetessa, Donna pienamente.

Soave guida il tìaso, il girotondo delle figlie,
sorelle ed amanti dilette;
ella guida i loro passi sulle strade nascoste
di Eros e delle dive di Pieria.
Vieni Alma Dea,
come già per Lei facesti,
e narra della tua Cantrice.
(1)

La Decima Musa, la più illustre fra le poetesse, Saffo la bella, da innumerevoli secoli sussurra antiche armonie, avvolte da sottili sfumature e tocchi di intatta Natura.
Alcune informazioni riguardo alla sua vita e alla sua attività ci sono state trasmesse, ma molto è andato perduto riguardo al suo ruolo. Ella, infatti, dirigeva il tìaso, ma cosa in realtà si apprendeva a Mitilene?

Molte sono le teorie, eppure probabilmente non lo sapremo mai con certezza.

Tuttavia, leggendo i versi leggeri di questa poetessa, ho immaginato, quasi sognato, che il suo gruppo di fanciulle, apprendesse qualcosa di più profondo di una educazione per giovani aristocratiche…

Vita
Saffo nacque ad Ereso, nell’isola di Lesbo, da Cleis e Scamandronimo intorno all’anno 640 a.C.
Ebbe tre fratelli Larico, Erigio e Carasso. Seguì la famiglia in esilio in Sicilia, ma poté in seguito tornare in patria, a Mitilene, dove fondò il tìaso. Tale gruppo era destinato, secondo le ipotesi più accreditate, ad istruire le fanciulle di agiata condizione riguardo alle arti, alle buone maniere e al ruolo femminile che le donne greche erano costrette e interpretare.
Alcune fonti riportano il matrimonio di Saffo con un certo Cercila di Andro, ma probabilmente questa è una notizia fittizia inventata da commediografi successivi, in quanto Cercila viene da kerkos “pene”, e andros significa “uomo”. Tuttavia, il fatto che Saffo abbia sposato “pene da uomo”, potrebbe simboleggiare che essa, semplicemente si unì ad una parte maschile, sotto forma di Amante in carne ed ossa, del quale non era importante il nome ma il ruolo, oppure sotto forma di Amante interiore, che bilanciasse la sua dolce natura femminile. Ebbe anche una figlia, che chiamò come sua madre, Cleis.
Da un frammento si evince che la poetessa visse fino ad un’età avanzata, poiché dice di non poter più partecipare alle danze e che i suoi capelli sono diventati bianchi. Negli anni della vecchiaia, si innesta la leggenda del suo amore infelice per il giovane Faone “il luminoso”. Egli era un vecchio barcaiolo ormai prossimo alla morte che un giorno aveva traghettato Afrodite – celata sotto le spoglie di una donna anziana – senza chiederle alcun compenso. La sua generosità era stata premiata con un magico unguento da applicare su tutto il corpo che, in breve, lo rese di nuovo giovane e bellissimo.
Costui avrebbe inizialmente ricambiato l’amore di Saffo, ma poi si sarebbe rivolto a bellezze più fresche, provocandole un enorme dolore, per allontanare il quale ella si sarebbe gettata dall’alto della rupe Leucade, la rupe bianca, fra i flutti.
D’altra parte essendo Faone appartenente alla cerchia di Afrodite, forse come paredro che ciclicamente muore e rinasce, anche quest’amore finito in tragedia potrebbe essere un fraintendimento successivo, come del resto quello che vorrebbe Saffo ed il suo contemporaneo Alceo - poeta anch’esso - amanti.
Sulla rupe Leucade pare sorgesse un santuario di Apollo, e si credeva che gettandosi dall’altro di quelle rocce a picco sul mare, i sopravvissuti si sarebbero profondamente purificati e liberati da un amore senza futuro. La prima, infatti, che compì quest’azione fu proprio Afrodite, la protettrice di Saffo, per purificarsi in seguito alla morte di Adone. Nell’Odissea la rupe Leucade è posta lungo la strada che porta alle Isole dei Beati.

Nella Basilica sotterranea di Porta Maggiore (Roma), risalente al I secolo d.C., Saffo è ritratta con la lira fra le mani e affiancata da Eros, nel momento del salto dalla rupe.
Fra le onde sono pronti ad accoglierla Leucotea la "Dea Bianca” (2) ed alcuni tritoni, mentre sul promontorio stanno Apollo e un giovane identificato come Faone. Il salto fra i frutti rappresenta forse un atto purificatorio, una sfida a sé stessi, un balzo nell’ignoto che tanto spaventa l’uomo. Colui che sopravvive a questa prova si libera dell’amore semplicemente umano, variabile e limitato nel tempo, potendo forse conoscere quello imperituro che può essere trovato fra le dolci braccia della “Bianca Dea”.

Già in epoca antica Saffo ricevette grandi onori: il suo contemporaneo Alceo scrisse “Dai capelli di viola, pura, dolceridente, Saffo.” Il termine tradotto con pura è agne, che potrebbe anche essere reso come “molto santa” o “veneranda” ma che propriamente significa “non toccata”, “intangibile”, ovvero appartenente alla sfera superumana e quindi divina; tale parola è riferita solamente alle manifestazioni divine femminili. (3) Inoltre, anche Afrodite era a volte invocata proprio come Dea “dal dolce sorriso”, ed anche questo potrebbe far intendere quanto Saffo si sia avvicinata alla sua divina protettrice.
Strabone la indicò come la maggior poetessa di ogni tempo; Platone come decima musa, caratterizzata come “bella”, contrariamente alla tradizione successiva che la volle brutta, di bassa statura ed amabile solo per il suo ingegno.

Il tìaso

Il termine tìaso indica un gruppo legato ad una Divinità, che ad Essa si rivolge ed Essa celebra. In genere i tìasi erano dedicati a Dioniso, e le donne che ne facevano parte erano dette Menadi, Tiadi, Baccanti, Lenee ed in altri modi ancora. Tuttavia, il sodalizio di Saffo agiva sotto la protezione della voluttuosa Afrodite e del suo corteo.
Il termine tìaso viene dal verbo greco thyo che sta per “mi agito, infurio, smanio” dalla radice dhu col senso di “agitare, eccitare, scuotere” da cui anche thyo “sono trasportato con impeto, ardo”, thyos “furore” e typhon “vento forte, turbine”. Interpretando tale etimologia si può pensare che le partecipanti ai tìasi, forse, si lanciassero in danze sfrenate sui prati fioriti o in radure montane, al suono dei flauti e dei tamburi. Danze anche di tipo erotico, le quali comprendevano magari movimenti sensuali come lo scuotimento del bacino e delle natiche atti a incantare dolcemente le danzatrici, dimentiche dei limiti e dei pensieri spazzati via dal Soffio divino che erano riuscite ad evocare in loro. Queste donne sapevano farsi prendere dalla mania provocata dalla presenza del Dio o della Dea che invocavano, in modo da abbandonarsi totalmente ad esso.
Dai frammenti che ci sono rimasti, si intende che all’interno di questo sodalizio le ragazze apprendevano anche le arti, ovvero ciò che è caro alle Muse e alle Cariti. Le prime presiedevano in particolare alla poesia, al canto e alla danza, ma tali attività erano rese particolarmente piacevoli ed armoniche dalle seconde, le dolcissime Dee simboleggianti la bellezza, la delicatezza, la gioia e la spontaneità femminili naturali. Le fanciulle quindi non danzavano, né cantavano, né facevano probabilmente alcunché nella maniera profana in cui siamo abituati ad agire oggi: per loro, forse, queste attività erano veri e propri riti per avvicinarsi alle loro divine protettrici, e per questo le svolgevano con gioia e attenzione, seguendo le indicazioni e le parole della loro amorosa guida, Saffo.
Il fine di questo gruppo di Donne, dunque, era probabilmente quello di avvicinarsi sempre di più alla sensuale bellezza delle Cariti, al canto divino delle Muse e alla voluttuosa gioia di Afrodite.

Frammenti: Saffo e le sue compagne

Morta giacerai, né più memoria alcuna di te
per il futuro ci sarà giammai: tu non conosci le rose
di Pieria; ma vagherai oscura nella casa di Ade
volando via fra i morti senza luce.

La Pieria era una regione della Macedonia, dove si diceva che le Muse risiedessero e intrecciassero le loro danze gioiose. “Rose di Pieria” sta dunque per tutto ciò che è dono e attributo delle Muse, le quali, possono pervadere il poeta con la manìa che può impossessarsi solo di un’anima “sensibile e pura” come ci dice Platone nel Fedro. Se per gli uomini l’unico modo per poter sopravvivere ai secoli era attraverso la fama imperitura dovuta alle imprese guerresche, per le donne era forse più congeniale cercare qualcosa di dolce e pervaso di bellezza, così come può esserlo una rosa. (4) D’altra parte le Muse sono figlie di Mnemosine “il ricordo” ed è quindi logico che le loro seguaci vengano ricordate. Quando le anime dopo la morte scendevano nell’aldilà, secondo i Greci potevano prendere due strade: percorrere le pianure di Lete, “l’oblio”, tormentati da una gran sete che avrebbero estinto con le acque del fiume Ameles “senza esercizio o preparazione”, oppure proseguire fino alla fonte di Mnemosine, alla quale avrebbero potuto bere solo grazie alla concessione dei guardiani del luogo. Attingendo alle cristalline acque del ricordo, le anime potevano conservare la sapienza e la verità trovate durante la vita, mentre coloro che si dissetavano all’Ameles avrebbero scordato ogni cosa, avviandosi nelle cupe case di Ade. Appare estremamente appropriato dunque, che Pausania identifichi solo tre Muse, i cui nomi sono proprio Melete “esercizio”, Mneme “il ricordarsi” e Aoide “il canto”.
I vivi avrebbero serbato memoria delle anime potenzialmente in grado di raggiungere la polla di Mnemosine, grazie alla loro capacità in vita di seguire le Muse, mentre avrebbero dimenticato coloro che, privi di una preparazione come quella che probabilmente Saffo impartiva alle sue allieve, avrebbero vagato nell’ombra, immemori persino di loro stessi.
La fanciulla che abbandona il tìaso, a cui sono rivolti i versi precedenti, perde quindi la possibilità di poter vivere oltre la morte, e di conoscere i bellissimi e luminosi prati delle Isole dei Beati.
Quanto finora detto potrebbe essere confermato da un altro frammento:

Non è permesso il canto funebre
nella dimora dei seguaci delle Muse; a noi ciò non si addice.

Le seguaci delle Muse non si struggono per la perdita di cose terrene, non intonano lamenti per ciò che dev’essere lasciato andare, poiché hanno raggiunto qualcosa che sta ben oltre la morte fisica. Conoscono Amore, il “senza morte” e dove egli è presente, l’unica morte possibile è quella di tutte le cose che alla sua potente e splendida essenza non partecipano.

…ma io amo la delicatezza: Eros ha ottenuto per me
la bellezza e la luce.

Saffo a differenza di coloro che dimenticano e sono dimenticati nella morte, ha ottenuto per sempre bellezza e luce, garantitele appunto da Eros, il quale, quando si congiunge a Psiche “l’anima” la rende immortale allontanando per sempre da lei dolore, vecchiaia e morte. Saffo stessa doveva essere come un Sole benefico che sparge amore indistintamente, senza egoismo o personalismo; una fonte di Amore dolcissimo e curativo per tutti coloro che le stavano intorno. (5)
Il termine tradotto con “delicatezza” è abrosyne che significa anche “splendore, grazia, leggiadria, raffinatezza” e con l’aggettivo derivato da tale termine venivano indicate le Cariti. Saffo, dunque, ama quelle caratteristiche tipicamente femminili che si manifestano nella loro più intatta purezza e spontaneità e che le tre sorelle divine simboleggiano. Sarebbe a dire che ella ami l’intimo incanto provocato dalla femminilità vergine e naturale, grazie alla quale Amore la terrà per sempre con sé, illuminata da una luce brillantissima.
Immaginiamo dunque come ella dovesse amare le altre fanciulle del tìaso che risvegliavano in loro stesse la medesima predisposizione verso l’Armonia e di essa erano pervase. Probabilmente queste giovani donne non si amavano di un amore esclusivo e possessivo come succede oggi, sia fra un uomo e una donna, sia fra appartenenti allo stesso sesso, ma bensì, amavano nelle altre la bellezza e l’essenza femminile che già conoscevano per averla ottenuta in loro stesse.
A testimonianza delle dolci premure che esse usavano l’una con l’altra alcuni versi recitano:

Ora per le mie compagne
canterò bene questi canti che portano gioia.

Il termine tradotto come “che portano gioia” è il verbo terpein che indica un piacere che riempie il corpo e la mente. La grande dolcezza che pervade queste parole, totalmente prive del senso di superiorità, della gelosia e dell’invidia che spesso le donne odierne si riservano le une con le altre è ribadito anche dal frammento:

Verso di voi, così belle,
il mio pensiero non cambierà mai.

E d’altra parte, come avrebbe potuto cambiare l’amore fra loro, se esse condividevano una medesima essenza, invariabile e sempre uguale a sé stessa? (6)
Qualcuno potrebbe rimanere stupito dal fatto che in luoghi anche lontani fra loro, le donne si siano riservate eguali gentilezze e che vivessero unite ed in maniera solidale. Tuttavia ciò non è per niente strano alla luce del fatto che ognuna di loro, nonostante le grandi distanze che magari le separavano, forse possedeva un frammento della grande Armonia simboleggiata dai vari Dei e Dee, dell’Amore naturale che ritrovavano e si scambiavano continuamente.
Nonostante questi stretti legami che le giovani intrecciavano fra loro, alcune dovevano ritornare alla propria casa, ed andare incontro ad un matrimonio. Saffo ci tramanda il loro rimpianto per la vita condotta a Mitilene:

Da Sardi Arignota ha rivolto la mente qui,

ricordando come vivevamo insieme,
lei ti stimava simile agli dèi
e più di tutto gioiva del tuo canto.

Ora brilla fra le donne lidie
Come talvolta al calare del sole
La luna dalle dita di rose

Supera tutti gli astri, e la luce
Si posa sul mare salato come
Sui campi fioriti;

e la bella rugiada si spande,
e sbocciano le rose e i cerfogli soavi
e il florido meliloto;

si aggira inquieta, ricorda,
e il desiderio della tenera Attis
le consuma l’anima lieve.

Il ricordo e l’amore per le fanciulle del tìaso compare anche in un altro frammento:

Vorrei davvero essere morta.
Lei mi lasciava piangendo

e molte cose mi diceva:
“Ahimè, è terribile come soffriamo,
Saffo, io contro la mia voglia ti lascio!”

E io a lei risposi:
“Addio, e serba memoria di me,
tu sai quanto ti ho amata.”

E se non lo sai, io voglio
ricordare anche
le cose belle che facemmo insieme:

a me vicina t’incoronasti il capo
di mille ghirlande di viole e di rose
e di crochi insieme,

e mille serti odorosi fatti
di fiori intrecciati
intorno al tenero collo

e a profusione ti ungevi
tutto il corpo con unguento
di fiori e profumo regale

e sul letto soffice
saziavi il desiderio…

Da queste righe, oltre alla nostalgia per i giorni passati in letizia, si può intuire chiaramente il tipo di bellezza che le giovani di Lesbo possedevano: una bellezza naturale come la luce della luna, o la rugiada sui fiori novelli. Il loro bell’aspetto era esaltato da corone di rose, da profumi naturali, da collane di foglie e boccioli; tali ornamenti ben si adattavano alla loro spontaneità. Nella stessa maniera, alla donna moderna si addicono i vestiti firmati, i gioielli costosi e gli accessori di lusso, essendo totalmente diversa da Saffo e dalle sue amate.

E tu, Dika, di amabili corone inghirlanda i capelli,
intrecciando con le tenere mani gli steli d’aneto;
le Cariti beate vanno vicine a chi è ben adorna,
distolgono lo sguardo da chi non ha corone.

La loro cura per l’aspetto e la bellezza, forse, era un modo per rendere degno il loro corpo di contenere ciò che le Cariti donano alle loro seguaci: la xaris, ovvero l’amabilità, la grazia, la bellezza, l’armonia. E, parallelamente, queste divine caratteristiche si manifestavano accrescendo il fascino magico delle giovani, che probabilmente si incantavano reciprocamente in maniera dolcissima constatando quanto la grazia, l’eleganza e la spontaneità permeassero i loro modi.
In italiano il termine "bello" deriva dal latino bonus, a sua volta venuto da una radice indoeuropea che significa “splendere”, dalla quale hanno origine anche i termini “dio”, “divino”, “ricco”. Appare chiaro allora che il rendersi belle fa parte della tensione verso il Divino, anche se la vera bellezza che andrebbe recuperata è soprattutto quella animica e sottile, che forse, però, si manifesta nelle sue portatrici anche come piacevolezza esteriore.
D’altra parte la stessa Saffo scrive:

Chi è bello è bello solo da vedere
Chi è valente parrà subito anche bello.

Alla bellezza esteriore, dunque doveva unirsi quella interiore. In questo modo le fanciulle potevano forse conoscere le loro divine protettrici, sentendo dolcemente dentro i loro doni ed assomigliando loro nell’aspetto; e sembra fosse proprio questo il loro scopo, se la poetessa ci dice:

…non è facile per noi
farci pari alle dee
nell’amabile aspetto.

Pare che coloro che riescono a farsi simili alle Dee, percepiscano un gentile e languido fuoco interiore (7), posizionato all’interno del ventre. Tale dolce fuoco cocerebbe e raffinerebbe la parte sottile della Donna che lo porta dentro di sé, fino a renderla, a poco a poco, Immortale, in quanto conoscitrice di qualcosa di imperituro e invariabile da sempre e per sempre. Forse proprio a tale dolce fuoco allude Saffo dicendo:

Mi cuoci…

 

Frammenti: agli Dei

…e non vi era danza sacra
né festa sacra
da cui fossimo lontane,

né bosco sacro…

La principale attività delle fanciulle sembra quella di prendere parte al sacro: “danza sacra”, “festa sacra”, “bosco sacro”. Ma, possiamo chiederci, in che maniera esse si facevano partecipi di tali situazioni?

Le loro feste si svolgevano nelle foreste, sui prati irrorati di notturna rugiada, vicino ad altari immersi nel verde o comunque in luoghi naturali e non costruiti dall’uomo. Nella stessa maniera molti popoli del passato ritenevano che fosse possibile un contatto con il divino solo in luoghi non edificati da mani umane: fra questi rientrano gli antichi celti che celebravano le loro cerimonie nei nemeton, le tribù del Nord Europa, e gli stessi greci, i quali ritenevano che il culto di alcuni Dei non potesse essere ufficiato nelle città. Tale convinzione è forse un retaggio di tempi lontanissimi, quando la natura era anche tempio.

Pare che il modo più usato dalle fanciulle per invocare gli Dei fosse la danza, accompagnata da dolci canti:

Ragazze di Creta a tempo
danzavano lievi sui piedi
attorno all’ara adorna
calcando dolcemente
la morbida erba fiorita.

Esse danzavano insieme e nel girotondo ritrovavano l’antica coralità femminile, che univa tutte le donne, imitando così le loro protettrici; erano infatti le Muse e le Cariti ad animare le danze sacre dell’Olimpo. La danza fu un metodo per cercare di provocare aperture verso mondi diversi da quello usualmente conosciuto, e venne utilizzata da tutte le antiche civiltà, tanto che alcune vestigia di danze estatiche e sacre si possono intravedere ancora ai giorni nostri. (8) Tali incontri corali avvenivano forse in particolari momenti dell’anno:

Piena comparve la luna;
e le fanciulle si posero intorno all’altare.

Forse queste fanciulle, così come molte altre donne di altri tempi e altri luoghi, celebravano il continuo scorrere dei cicli lunari, così simili a quelli muliebri. Erano probabilmente queste le occasioni durante le quali invocavano l’intervento delle Dee da loro amate e conosciute:

Vieni da Creta a questo sacro tempio
dove cresce per te un amabile bosco
di meli e dagli altari si leva fumo d’incenso,

ed i là dai rami dei meli sussurra
un fresco ruscello, ovunque s’allarga
ombra di rose, da mormoranti fronde
stilla sopore,

il prato delle cavalle
è in germoglio di fiori primaverili,
dolce soffia la brezza…

cingiti qui della tua benda, Cipride,
in coppe d’oro con lieve gesto
versa nettare divino mescolato alla festa.

Il termine “amabile” è ancora una volta il termine proprio delle Cariti, e fa intendere fin da subito l’atmosfera ed il tipo di luogo in cui il rito si svolge.
La parola tradotta con “sopore” è koma, che è lo stato di totale abbandono e quiete portato da Ipno, il Sonno, “il dio più caro alle Muse” secondo Pausania. Il Sonno che si riversa nella radura è un Sonno Magico, un Sonno apparente, poiché anche se le fanciulle sono immote, forse una parte di loro è volata in altri luoghi. D’altra parte la parola koma viene da koimao “dormire” da una radice che indica completa tranquillità ma anche la stabilità e la residenza. Da ciò si può forse dedurre che coloro che sono coinvolte da questo tipo di Sonno, raggiungono uno stato di pace stabile e duratura, poiché la loro parte sottile ha trovato la sua vera casa, il luogo da cui viene e a cui tenderà sempre.
Dalla Natura stessa, si irradia quest’incanto di cui è portatrice Afrodite con il suo corteo. La Natura medesima è il prototipo di ogni Dea, poiché nella sua bellezza si intuisce il mistero ultimo e la sacralità di ogni cosa, che anche nelle Donne ha una sua manifestazione. Da questo si capisce inoltre quanto la bellezza di Saffo e delle sue compagne dovesse essere “reale”, simile, come anche la poetessa ci lascia intendere, alle manifestazioni di Natura. Non è strano, infatti, che le Figlie siano simili alla Madre.
In questo luogo fiorito, dunque, Afrodite si manifesta e versa “nettare divino” in coppe dorate. Il nettare, etimologicamente “che preserva dalla morte”, era creduta la bevanda degli Dei che permetteva loro di conservare l’immortalità e per ciò di vivere eternamente. Ci sono pareri divergenti riguardo alla sua natura, ma molti sostengono fosse una sostanza inebriante, vino o idromele; dello stesso genere, quindi, della bevanda che anche le Baccanti si diceva utilizzassero durante le loro feste. Tali liquidi erano creduti in grado di provocare l’ebbrezza, che si lega al termine greco abros, ovvero di nuovo la dolcezza e la delicatezza, l’abrosyne.
Cipride dunque, con infinita grazia, versa l’immortalità divina nei calici dorati, nelle pure profondità di coloro che l’invocano presso il suo Sacro altare. E’ infatti antichissimo il simbolo della coppa come ventre femminile, e di remota data è anche l’utilizzo dell’oro per indicare ciò che è più prezioso ed incontaminato.

Eros mi scuote la mente
Come il vento investe le querce sul monte.

E giunge Amore, a colmare la poetessa e le sue allieve, ad animare tutto il loro essere, a spazzare con un vento insopprimibile tutto ciò che è caduco e non fissato, come le foglie cadute ai piedi degli alberi. Le querce, invece, forti e antiche, sono accarezzate dal soffio di Eros, che pervade totalmente l’interiorità di Saffo e delle fanciulle. Le loro anime danzano insieme al vento amoroso, sono pervase dallo stesso Spirito che tutto muove: Amore.
D’altra parte ricordiamo che il termine tìaso è avvicinabile anche a typhon “vento impetuoso”, e Saffo, con le sue compagne cerca questo vento, il Soffio divino che fa danzare le anime che ad esso si congiungono (9), ed invoca la sua presenza con diversi nomi:

Venite Cariti sante, figlie di Zeus, braccia di rose…

Qui ancora, Muse, lasciando l’aureo…

Qui, ora, Cariti leggiadre, e Muse dai bei riccioli…

Ho parlato in sogno con te, o nata a Cipro…

Eros
tessitore di miti.

Eros lascia delle tracce dietro di sé. Lascia una scia, un sentiero nascosto e quasi invisibile: il mito. Tale termine significa “parola” ma si differenzia dalla parola-logos in quanto appartiene alla sfera dell’invisibile, dell’immateriale e del non compreso nel tempo. I miti parlano attraverso i secoli e ancora raccontano di antichi prodigi e bellezze, di Vie dimenticate dai più e di celati processi di trasformazione. Una delle chiavi per raggiungere Eros, dunque, potrebbe essere stata nascosta proprio nei racconti mitici, nelle favole e nelle leggende, nelle saghe degli antichi eroi e nei racconti riguardanti gli Dei.
D’altra parte, è proprio il mito che rende immortali i versi di Saffo: la costante, velata presenza dell’Eterno fra le sue parole colorate di bellezza…

Nota finale: si sono voluti tralasciare i componimenti “d’occasione” come gli imenei e gli epitalami. Per una lettura completa dei frammenti saffici si possono consultare i libri citati nelle fonti.



* © 2009 Articolo originale di Elke per https://www.tempiodellaninfa.net. Riprodotto qui su gentile concessione dell'autrice.
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice e senza citare la fonte.
Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it il 10 maggio 2009

__________________________
Note
(1) Tutte le citazioni dei frammenti saffici sono tratte da:
Saffo - Più oro dell’oro, curato e tradotto da R. Copioli, Edizioni Medusa, 2006
Lirici greci, a cura di M. Cavalli, G. Guidorizzi, A. Aloni, Mondadori Editore, Milano, 2007.
(2) Anche Leucotea, prima di divenire Dea, fu una donna che per sfuggire all’ira del marito si gettò in mare, suscitando la pietà divina. Divenne la benefica protettrice di coloro che si avventurano nelle acque incerte del mare.
(3) Il significato di agne è tracciato in Dioniso di W. Otto, citato in Le Vergini arcaiche di Leda Bearnè, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2006, p. 26.
(4) I due diversi modi per raggiungere dei luoghi luminosi e divini dopo la morte, erano simboleggiati nella mitologia nordica dal Walhalla di Odino e dalla sala di Freyja. Nel primo, venivano condotte le anime dei guerrieri morti eroicamente, che sarebbero vissuti duellando fra loro e banchettano, serviti dalle bellissime Valkirie. La seconda era il luogo dove, oltre ai combattenti, volavano le anime delle donne vergini e delle seguaci della Dea, che attraverso il seidhr, una sorta di danza estatica, celebravano la loro Signora.
(5) Una simile caratterizzazione solare dell’amore è data da Davide Melzi in Ipotesi sulla Guarigione, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 1998, p. 95
(6) A Sparta esistevano istituzioni simili al tìaso saffico, i cori, all’interno dei quali le fanciulle, guidate da una corifea, apprendevano la danza e il canto, facevano esercizi ginnici e celebravano gli Dèi. In un frammento di Alcmane dedicato a una di queste corifee si legge “…solo da Agesicora le fanciulle riceveranno pace e amore.” Per quanto riguarda le società femminili dell’isola di Vancouver ed il loro modi di vivere si veda Le figlie della Donna di Rame, Anne Cameron, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000.
(7) Per una descrizione più approfondita riguardo a questo particolare fuoco magico si veda il capitolo intitolato “Le custodi del fuoco” in Le Vergini arcaiche di Leda Bearne, Edizioni della Terra di Mezzo; il capitolo “Il fuoco” in Manoscritto sapienziale femminile di Anonima, Edizioni della Terra di Mezzo; il capitolo “Il fuoco magico” in Il giudizio della Donna di Ada D’Ariès, Edizioni della Terra di Mezzo.
(8) Tali tipi di danza sono trattati in modo specifico in Delle antiche danze femminili di Irina Naceo, Edizioni della Terra di Mezzo, che si consiglia per approfondire l’argomento.
(9) E’ interessante notare che lo stesso termine “anima” deriva da anemos ovvero proprio “vento”, come soffio vitale individuale. Le anime forse si ricongiungono alla matrice universale delle cose, così come le gocce d’acqua all’oceano, le foglie alla terra, e i mulinelli al grande vento.

______________________
Fonti:

Delle antiche danze femminili, Irina Naceo, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2003
Dizionario di mitologia classica, G.L. Messina, Signorelli Editore, Roma, 1959
Dizionario etimologico, Rusconi Libri, Genova, 2006
Platone, i classici del pensiero ( a cura di C. Carena) Mondadori Editore, Torino, 2008
L’amore in Grecia, C. Calame, Editori Laterza, Roma, 2006
Le Muse e l’origine divina della parola e del canto, W. Otto, Fazi Editore, Roma, 2005
Le Vergini arcaiche, Leda Bearné, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2006
Lirici greci, (a cura di M. Cavalli, G. Guidorizzi, A. Aloni), Mondadori Editore, Milano, 2007
Odissea, Omero, Newton Compton Editori, Roma, 2007
Saffo - Più oro dell’oro, curato e tradotto da R. Copioli, Edizioni Medusa, 2006
www.etimo.it
www.wikipedia.it

Ringrazio Violet e Alessandro per le indicazioni riguardo alle fonti e le ragazze dell’Isola Incantata delle Figlie della Luna per gli spunti.



 

 



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