| ALLA RICERCA DEL FEMMINILE 
        PERDUTO- la rivincita di Ariannadi Cinzia de Bartolo
 
 
   
 
 Qual è il più profondo significato di “Femminile”?
 Quali esempi, quali miti, quali archetipi lo rappresentano?
 
 E’ appena il caso di ricordare che gli archetipi, nella psicologia 
        analitica junghiana, rappresentano immagini di esperienze primordiali 
        comuni alla specie umana contenute nell’inconscio collettivo, i 
        simboli li evidenziano visivamente mentre i miti rappresentano dinamicamente 
        tali contenuti psichici mettendoli, per così dire, “ in scena”.
 
 Riprendendo quanto aveva annunciato la nota scrittrice Virginia Woolf, 
        l’identità della Donna si configura in “uno spazio 
        tutto per sé” [1]. In inglese, il titolo del suo saggio è, 
        infatti, A room of one’s own dove il termine room può essere 
        inteso sia come “stanza” sia come “spazio”.
 E quale percorso interiore dobbiamo seguire per arrivare alla ricerca 
        di tale spazio?
 Esso, erroneamente, viene ricercato troppe volte all'esterno ed inteso 
        puramente in termini materiali.
 In realtà lo “spazio tutto per sé” va ricercato 
        all'interno delle donne stesse, perché - come afferma la poetessa 
        Patrizia Vicinelli [2] - “…non si può mai giungere 
        ad una ricerca consapevole dell'identità se all'interno dei corpi 
        femminili sono presenti ancora i fantasmi delle menti del passato”.
 Ma, in fondo, cos’è il “Femminile” ? Come si 
        manifesta?
 Per meglio anticipare quanto andrò a 
        dire, ricorrerò al mito… al mito di Arianna. Figlia del re Minosse, era quindi sorella di Asterius, il Minotauro metà 
        uomo e metà bestia. Esso venne rinchiuso al centro di un labirinto, 
        appositamente costruito da Dedalo e, annualmente, occorreva tributargli 
        sacrifici umani. Teseo, allora, decise di penetrare nel labirinto per 
        sconfiggere il mostro e Arianna, innamoratasi di lui, lo aiutò 
        a orientarsi nel dedalo fornendogli il proverbiale gomitolo di filo. Compiuta 
        l’impresa, Teseo portò con sé Arianna, ma - secondo 
        alcune fonti - la abbandonò sull’isola di Nasso lasciandola 
        lì a struggersi di dolore.
 Mai come in questo caso, il mito ci illumina 
        sul rapporto fra l’elemento maschile e quello femminile: Teseo compie 
        un pericoloso viaggio nei paurosi recessi del labirinto-inconscio e, dopo 
        essersi confrontato con gli umani istinti bestiali, si affida ad Arianna 
        - l’elemento femminile - che lo guida verso la luce della coscienza. 
        Ma Teseo la abbandona …. Ma facciamo un passo indietro e analizziamo 
        il significato di “Labirinto”. Originariamente, il Labirinto non era ciò 
        a cui oggi si pensa; con tale termine, si denominavano le miniere di minerali 
        o ferro e, più in generale, i cunicoli e le grotte sotterranee. 
        Qui, sovente, si officiavano riti sacri in onore delle antiche divinità 
        ctonie, cioè espressione della più profonda energia della 
        Terra.
 Il primitivo significato del Labirinto (che aveva uno sviluppo “verticale” 
        e non “orizzontale”) è di certo più aderente 
        alla metafora delle profondità interiori.
 Il Labirinto, per come lo conosciamo adesso, altro non è che la 
        schematizzazione architettonica della selva in cui è facile perdersi, 
        la “selva oscura” di dantesca memoria.
 Lo ritroviamo in molte cattedrali gotiche, anche in Italia (a Ravenna, 
        nella basilica di San Vitale, per esempio).
 Ma fra tutte, quella che ha fatto versare fiumi di inchiostro è 
        la Cattedrale di Chartres.
 Il Labirinto posto al centro di questa mirabile opera architettonica costituisce 
        un sentiero simbolico che conduce l’uomo dalla terra verso Dio, 
        un pellegrinaggio spirituale che porta alla Luce, ma non attraverso una 
        strada privilegiata e diretta, ma tortuosa e difficoltosa, come appunto 
        è il sentiero della vita.
 Per quello che noi chiamiamo “labirinto”, la lingua inglese 
        propone due termini, labyrinth e maze che indicano due concetti diversi: 
        nel maze il sentiero si divide e presenta numerosi vicoli ciechi; il labirinth 
        è un singolo percorso che si avvita su se stesso, ma che ha un 
        inizio ed una fine, un’entrata ed un centro. Esso non presenta vicoli 
        ciechi, ma una strada che porta a calpestare ogni pietra fino a raggiungere 
        il centro che, con il suo cerchio ed i sei lobi (antico simbolo di Afrodite), 
        somiglia ad un fiore stilizzato completo di petali. Proprio in questo 
        punto, nella cattedrale di Chartres, prima della Rivoluzione francese 
        del 1789, era posta una grande placca in bronzo che rappresentava la lotta 
        di Teseo, l’eroe solare che - come dicevamo prima - riesce ad acquisire 
        il controllo degli istinti e delle forze dell’inconscio profondo 
        rappresentate dal Minotauro.
 Il fedele percorre il Labirinto e, nel momento stesso in cui si aggira 
        nei suoi meandri, ritrova altri fedeli che, a loro volta, percorrono un’altra 
        strada, magari in direzione opposta, per arrivare sempre però al 
        centro quasi a simboleggiare la tolleranza nelle altrui scelte del proprio 
        personale percorso per giungere alla Luce di Dio.
 Prima di affrontare ed approfondire il discorso 
        sul Femminile (meglio, forse, “Femminino”): occorre, però, 
        comprendere che, con tale termine, deve intendersi una “categoria”, 
        un universo concettuale e non il frutto di una semplice distinzione sessuale 
        tra uomo e donna.  Facciamo un preambolo di carattere storico e 
        sociologico.Dura da millenni l’egemonia della cultura patriarcale, ma, volgendo 
        gli occhi al passato, ritroviamo altre esperienze, altre strutture sociali.
 Nell’Europa neolitica di 6000 anni fa, prima delle invasioni delle 
        popolazioni guerriere Arie, esisteva una civiltà basata sull’agricoltura 
        di tipo “matriarcale” fondata sulla matrilinearietà 
        (cioè erano le madri a riconoscere i figli), sull’uguaglianza 
        fra i sessi e dei ruoli, sulla pace (la sola garanzia della sopravvivenza 
        di una società di questo tipo) basata sull’amore per la terra 
        - unica sostentatrice - vista come una madre, una Dea, dove la donna condivideva 
        con la Terra il misterioso e magico ruolo di madre.
 Tali valori sono comuni a tutte le prime società agricole neolitiche 
        del pianeta, nonostante la successiva società patriarcale di stampo 
        guerriero abbia tentato in tutti i modi di cancellarli senza mai riuscirci 
        completamente.
 Sovente, la Dea paleolitica era raffigurata come “Dea Uccello”, 
        corpo di donna con testa di uccello,
 legata alla fertilità ed all’unione degli umani con il mondo 
        animale. Una serie di simboli rappresentavano il potere della Dea di generare 
        la vita (il “triangolo”), il ciclo della vita-morte-rinascita 
        (la “linea tripla”, triplice fonte di energia) e ancora la 
        forza generatrice legata all’acqua (le “linee ondulate” 
        come spire di serpente, animale sacro alla Dea in quanto simbolo di fecondità 
        e di sapienza intuitiva, fin da allora legato indissolubilmente al concetto 
        di Donna, nel bene e - poi - nel male!).
 Uno dei più comuni archetipi presenti 
        in molte culture è quello della “Grande Dea”, espressione 
        dell’energia femminile universale.Spesso questa immagine è rappresentata da una trinità di 
        figure femminili che rappresentavano le tre fasi del ciclo vitale della 
        donna: la Vergine, la Madre, la Vecchia o - se volete - Persefone, Demetra 
        ed Ecate.
 La Vergine era ritratta come energica e dinamica, la fanciulla innocente 
        che rifletteva la luce della Luna crescente; la Madre raffigurava la fertile 
        nutrice, la regina che rifletteva la luce radiosa della Luna piena; la 
        Vecchia (trasformata, poi, in “Strega”) era la detentrice 
        della saggezza che rifletteva l’oscurità crescente della 
        Luna calante, capace di riconoscere il proprio potere creativo, associata 
        alla magia, all’ispirazione, alla preziosa qualità di comunicazione 
        con il mondo spirituale.
 Nel ciclo vitale della donna è presente anche l’aspetto nascosto 
        della Dea, il “doppio” del trio luminoso: la madre oscura 
        o terribile, che prima dissolve e poi ricompone (la Kalì indiana), 
        colma di energie di trasformazione che non può non operare attraverso 
        la fase della distruzione/morte per conseguire il rinnovamento così 
        come fa Madre Terra che, dopo aver generato, riassorbe il tutto in sé 
        consumandolo per poi restituirlo ri-generato.
 E’ di grande importanza approfondire il 
        confronto tra una società antica, strutturata sul culto della fertilità 
        e fecondità, che ha una visione dell’universo come una madre 
        omnidispensatrice, dal cui grembo ha origine ogni forma di vita, e nel 
        cui grembo tutto ritorna per poi rinascere, e una società centrata 
        invece sulle qualità combattive - coraggio fisico, disprezzo della 
        morte e quindi della vita - basata sul culto della spada e del suo potere 
        di togliere la vita per istituire e rafforzare il dominio. Una società, quest’ultima, che si è sempre più 
        separata da componenti come sensibilità, intuizione, compassione, 
        dolcezza, spontaneità, inclinazione all’amore per lasciar 
        spazio alle qualità necessarie a diventare un “guerriero”, 
        un leader senza paura.
 Pace e guerra, femminile e maschile a confronto, ma non necessariamente 
        conflitto sessuale uomo-donna, dato che il Femminile, nella sua dimensione 
        creativa, nella sua capacità di accogliere gli eventi e la loro 
        possibilità trasformativa, fa parte delle potenzialità sia 
        dell’uomo che della donna, sessualmente e biologicamente intesi. 
        Ma non possiamo negare che è proprio nella donna che il Femminile 
        trova la maggiore possibilità di manifestarsi più pienamente.
 Le donne hanno lottato e stanno lottando per 
        conquistare e salvaguardare i loro diritti rispetto all’uomo ma, 
        troppo concentrate su questo fine, hanno smarrito quell’universo 
        fatto di comprensione, umanità, intuitività, capacità 
        intrinseca di sentire e amare, di cogliere il segreto più riposto 
        di ogni manifestazione del reale. 
 Tali qualità hanno la possibilità di manifestarsi, se non 
        in una società matriarcale, almeno in un contesto che sia capace 
        di accogliere nel suo seno il Femminile, che contempli la capacità 
        di cogliere il lato magico dell’esistenza, che veneri la forza plasmante 
        dell’amore e del sentimento, dei misteri delle selve e delle notti 
        stellate, che segua il culto della Grande Madre Natura concepita come 
        contenitore di realtà spirituali.
 Una società così non c’è più, ma è 
        pur esistita!
 Dopo un anni ed anni di ordine patriarcale, 
        le donna si ritrova alla ricerca di una propria identità, è 
        protesa a risvegliare la propria coscienza. Per fare questo, deve ascoltare la propria voce interiore, il tesoro al 
        centro del suo essere, l’energia femminile primaria dalla quale 
        è stata separate per così lungo tempo.
 Clarissa Pinkola Estés, psicoanalista ed autrice del famoso bestseller 
        “Donne che corrono con i lupi” individua tali caratteristiche 
        nell’archetipo della “Donna selvaggia”, l’Io istintuale 
        innato che, spesso, si manifesta con l’esperienza della maternità 
        [3].
 “Non si tratta di ritornare al passato - ci dice la psicoterapeuta 
        Vicki Noble - ma di risvegliare la Dea che c’è in noi. Si 
        tratta di rivolgere la propria attenzione dentro di sé, per acquisire 
        una graduale e profonda conoscenza di sé stesse…” [4].
  Gabriele La Porta, storico della filosofia, 
        scrittore e direttore di Rai Notte, ci offre una poetica definizione del 
        femminile quando scrive: “Il Femminile è la capacità 
        di abbandono e di tenerezza, l’accettazione del diverso, del debole, 
        dello straniero. È l’energia che guida il mondo. È 
        il sentimento dolce e rutilante, (….) che sussurra alle creature 
        il mistero della vita. È la Luna, è Artemide, è Persefone, 
        Iside, Ishtar, è la madre che osserva, riflette, ama e non giudica. 
        È la nostra capacità di intendere e di comprendere, priva 
        di pregiudizi e di rancori. È l’energia raggiante che si 
        dispiega benevola sulle creature. È la pace della mente e del corpo. 
        È la follia, la conoscenza, è contemporaneamente luce e 
        buio, notte e giorno. È la possibilità di un mondo privo 
        di lotte e di odio” [5].  “Femminile” - proseguo io - è 
        Gea, è Hera… è il potere creativo che si esprime nella 
        capacità di aprirsi al nuovo, di accogliere gli elementi trasformativi, 
        di attendere che i semi percorrano il loro cammino fino alla loro realizzazione. 
        E’ la promessa della primavera e del ritorno ciclico della Dea Persefone 
        alla madre Demetra. Ricongiungersi con il proprio divino femminile 
        vuol dire dunque recuperare quelle parti della sfera emotiva e intuitiva, 
        rifiutate dalla cultura patriarcale in quanto considerate illogiche, irrazionali 
        e non degne di esistere. Vuol dire riappropriarsi di quelle radici perdute, 
        offuscate, sotterrate dall’elemento mascolino che ha avuto il sopravvento 
        per motivi storici, ideologici e sociologici allorquando la donna-sapiente, 
        custode dei segreti della Natura, divenne eretica e “strega”. 
        Vuol dire recuperare quella sapienza istintiva, che le appartiene per 
        diritto ereditario biologico, per realizzare e vivere pienamente la sua 
        essenza e divenire capace di aiutare il mondo con efficacia.
 Ed infatti, un elemento strettamente legato all’esperienza del percorso 
        nel Femminile è l’immaginazione, che porta con sé 
        anche la capacità di immedesimazione nell’altro, nella com-passione.
 E, citando Joseph Campbell, scrittore e psicoanalista junghiano, : “…la 
        principale virtù della donna è la compassione: l’assenza 
        di ogni isolamento egoistico, l’apertura e la partecipazione… 
        Riconoscere questo sentimento spontaneo, abbracciarlo e manifestarlo nell’azione 
        costituisce il potere della donna” [6].
 E’ un’esperienza che ha a che fare con lo stupore e il risveglio 
        in cammino “nell’universo vivente”.
 Si riaccende così - quasi per “magia” - l’attenzione 
        al proprio sé ed alla naturale carica rigenerativa, alla capacità 
        di ascolto dell’altro.
 È come avere un’amnesia e non ricordare... Si tratta allora 
        di risvegliarsi, di compiere un’opera di maieutica socratica del 
        ri-membrare, per tornare finalmente a casa.
 
 Queste sono le caratteristiche del femminile come categoria, che possono 
        sublimarsi ed emergere, come dicevo, in entrambi i sessi.
 L’umanità, oggi, riscopre finalmente 
        la visione femminile del mondo ridimensionando l’importanza di concetti 
        maschili, come forza, potere e dominazione. Il recupero degli aspetti femminili dell’anima umana, infatti, costituisce 
        oggi il più importante fenomeno psichico della nostra epoca. Da 
        due generazioni è in atto una profonda trasformazione, che alcuni 
        hanno chiamato la “femminizzazione del mondo”.
 Dando uno sguardo alle conoscenze spirituali 
        delle diverse culture, ci rendiamo conto che il punto di arrivo della 
        Sapienza è l’armonizzazione in un costrutto simbolico unitario 
        qualsiasi dualismo strutturale. Si tratta, ora, di riconoscere, in una 
        tale visione dualistica, le categorie apparentemente antitetiche del maschile 
        e del femminile, del Sole e della Luna, dello Yang e dello Yin, dell’Attivo 
        e del Passivo, dello Zolfo e del Sale, per poi superarle nel quadro di 
        una superiore Conoscenza che le armonizzi in una entità simbolica 
        ove convivano in maniera armonica entrambe le nature. Il simbolo che esprime la sintesi fra il Maschile ed il Femminile è 
        l’ ”androgino” (da andròs: uomo e gyné: 
        donna) in cui convivono armonicamente le due nature maschile/attiva/solare 
        e femminile/passiva/lunare; il perfetto equilibrio tra conscio ed inconscio, 
        tra istinto e razionalità. Maschile e Femminile, dunque, come modi 
        solo apparentemente antitetici di vedere la realtà, poiché 
        l’unico modo di vederla e percepirla è - come insegna Plotino 
        - concepirla come l’ “Uno”.
 E, per comprendere meglio il significato più profondo di questo 
        simbolo, ricorriamo a Platone che, nel Simposio, ci parla proprio dell’Androgino, 
        un essere sferico, maschio e femmina, orgoglioso della sua perfezione 
        e completezza. Allora Zeus, geloso (e forse timoroso) del loro potere 
        ed irritato per la loro arroganza nei confronti degli Dei, li separò 
        in due parti, maschio e femmina, diminuendo così le loro potenzialità. 
        Tali parti, inseguendo la nostalgia dell’antica unità, da 
        allora furono destinate per l’eternità a ricercarsi per completarsi 
        nuovamente.
 E così, leggendo e rileggendo le pagine sul Femminile, sempre più 
        forte diventa la convinzione chesi può costruire un mondo migliore 
        se abbiamo la volontà di giungere alla conciliazione tra le due 
        polarità di cui ognuno di noi è composto, poiché 
        credo che la strada che porta ad alienare l’aggressività 
        passa necessariamente per l’integrazione del Maschile e del Femminile 
        che sono in ognuno di noi, conciliando tali elementi non più visti 
        in opposizione fra essi ma intesi come complementari.
 Non più due elementi separati ma integrati in uno solo: è 
        il perfetto equilibrio tra Maschile e Femminile, non più intesi 
        come categorie, ma come aspetti di una stessa personalità non più 
        separate.E adesso ritorniamo alla nostra Arianna… che ha consentito 
        a Teseo di guadagnare l’uscita dal Labirinto per farsi, poi, abbandonare 
        in lacrime su di un’isola!
 Oggi, però, l’eroe maschile è vinto dalla solitudine 
        e dal rimorso struggendosi nel rimpianto…
 Alla luce di quanto detto finora, Arianna, infine, ha vinto… ma, 
        simbolicamente, da vera eroina del Femminile, perdona Teseo e lo chiama 
        nuovamente vicino a sé!
 E vengono così in mente le parole di 
        Jacques Attali: “L’idea del Labirinto non è estranea 
        al primo percorso dell’uomo al termine del quale egli diventa persona: 
        quello che lo fa fuoriuscire dal ventre materno: la donna è il 
        primo Labirinto dell’uomo” [7]. 
 
 Bibliografia:1. V. Woolf A Room of One’s Own
 2. P. Vicinelli Non sempre Ricordano
 3. C. P. Estés Donne che corrono con i Lupi
 4. V. Noble Il Risveglio della Dea
 5. G. La Porta Il Ritorno della Grande Madre
 6. J. Campbell Riflessioni sull’Arte di Vivere
 7. J. Attali , The labyrinth in culture and society: pathways to wisdom
 
 
 Articolo scritto da Cinzia de Bartolo
 inserito nel sito  https://www.ilcerchiodellaluna.it 
        nel febbraio 2009
 
 
 
 
 
 
 
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