Galleria delle Dee
Incontrare le Dee/gli Dei attraverso storia, mito, immagini e racconti



Le NINFE:
Testo e ricerca di Elke*

In silenzio cammino in un bosco antico, dove gli uccelli sembrano sussurrare storie dimenticate... lame di luce attraversano
la copertura di foglie verdi. Una radura, ed un oscuro antro si offrono alla vista, oltre l’intrico di biancospino, buio rispetto
alla luce del tenero sole di primavera.
Avanzo sul prato che trattiene mille frammenti di colore. Quel varco mi attrae...
ed ecco, oltre la soglia, sotto ai miei piedi, è terra bagnata; odo il dolce riso di fanciulle, nelle tenebre che si vanno schiarendo…

O forse era solo il chiacchierio continuo di una fonte d’acqua che dalla parete bianca, adorna di stalattiti, si versa in una vasca di pietra rozzamente intagliata. Sembra non ci sia nessun altro oltre a me. Un’apertura nel soffitto lascia passare un raggio di sole che illumina tenuemente l’ambiente, riflettendosi sulle acque giocose che poco prima, forse, mi hanno deriso. L’aria è densa, umida, permeata dell’odore del fango fecondo e del muschio, che riveste l’entrata della grotta; il mio andare è silenzioso, non voglio disturbare coloro che abitano questo luogo incantato. La luce è riflessa e scomposta dai mille cristalli e gocce che adornano le stalattiti. Mi guardo intorno: c’è una piccola apertura a sinistra, poco più che una nicchia... avrò il coraggio di attraversare la vergine oscurità che ammanta quell’anfratto? Respiro profondamente l’aria primaverile, che si mischia a quella quasi materica della grotta. Faccio un passo, un altro, e mi inoltro...
Una luce dinnanzi a me attrae la mia attenzione mentre cammino nel cunicolo. E’ lontana, un lumicino come quello che a volte incontrano i personaggi delle favole; mi avvicino sempre più e mi ritrovo in una sala circolare, dove in innumerevoli secoli pazienti rivoli d’acqua hanno formato castelli di calcare, rocce che sembrano veli abbandonati, altre, dalle forme dolcemente femminili, hanno mille seni come per allattare ogni Essere che abbia il coraggio di varcare la soglia. Al centro dell’ambiente i miei occhi si commuovono nell’ammirare un piano umido, dove è appoggiata una piccola lucerna ad olio che mi consente di vedere dell’altro: una coppella scavata nella roccia contiene qualcosa che identifico come olio, un’altra, meno profonda contiene del sale e dei semi, mentre nell’ultima sono poggiati alcuni rametti. Una zucca cava pende da una sporgenza, e contiene fragrante incenso. Verso un po’ d’olio sul legno, che subito la fiamma trasforma in lucenti rubini e coralli, e quando non rimane altro che brace vi spando un pizzico d’incenso, ascoltando le gocce che nel loro instancabile cadere creano meraviglie sempre nuove.
So dove sono, gli elementi che qui sono mischiati mi rivelano che questo è un Ninfeo, sacro a quelle luminose entità che abitano la Natura.


Ninfe della Terra

Gaia per prima generò, uguale a sé,
Urano stellato, ché tutta in giro la chiudesse,
perché fosse agli dei beati sede sicura per sempre,
e generò i Monti grandi, graziose dimore delle dee
Ninfe, che risiedono su alture disseminate di gole […]

Esiodo, Teogonia 126 - 130



Dette complessivamente Epigee.
Coloro che abitano i monti e con il loro canto ed i loro gioiosi giochi illuminano le alture sono le Oreadi che prendono spesso il nome dalla montagna che le ospita (le Corice abitavano una grotta del Parnaso, le Ditèe il Ditte, le Idèe l’Ida ecc.); la più conosciuta è forse Echo, compagna di Pan, innamoratasi del bel Narciso.
Le Napee sono le ninfe delle valli selvose e dei prati dove il verde dell’erba si fonde con i mille colori dei fiori; amano la dolce solitudine dei luoghi selvaggi ma a volte concedono il loro amore a qualche fortunato essere umano o a qualche satiro, similmente alle Auloniadi che si aggirano nei burroni scoscesi.
Alseidi è l’appellativo delle abitatrici dei boschi che, particolarmente amate dalla cacciatrice Artemide, fanno parte del suo corteo silvestre.
Le più antiche sono ritenute le Meliadi, abitatrici dei frassini con caratteristiche guerriere (forse perché con tale legno si costruivano i giavellotti), nate dalle gocce di sangue sgorgate in seguito all’evirazione di Urano e cadute sulla Madre Terra, la quale ne viene fecondata.
Le Amadriadi abitano entro le vergini cortecce degli alberi e muoiono con essi quando la loro vita è giunta al termine o quando l’uomo li abbatte; le loro sorelle più prossime, le Driadi, sono al contrario immortali come Eurydike e la bella Daphne.

Più prossime al mondo civilizzato sono le Agrostine, protettrici dei campi che producono il sostentamento necessario agli uomini, le Epimelidi, custodi delle greggi, le Cure, insuperabili nutrici, e le Menadi; a queste ninfe, seguaci di Dioniso dio dell’ebbrezza, si univano anche donne mortali, che si abbandonavano all’estasi provocata dal vino e dalla danza sfrenata.


Ninfe delle Acque
Teti invece a Oceano partorì i fiumi vorticosi,
[…]e generò anche una sacra stirpe di fanciulle, che sulla terra
Nutrono l’adolescenza degli uomini con Apollo signore
E con i fiumi, e da Zeus hanno questo destino […]

Esiodo, Teogonia, 137, 146 - 148

Dette complessivamente Idriadi.
Per quanto riguarda le illusorie e ammalianti profondità acquoree, le ninfe più antiche sono le tremila Oceanine “dalle caviglie sottili, che assai numerose la terra e gli abissi del mare per ogni dove ugualmente curano, fulgida prole di dee”.
Figlie di Oceano e Teti, due titani che simboleggiano le acque universali e la fonte prima della vita, diedero origine a tutti i fiumi che bagnano e rinverdiscono la terra, fra cui l’Acheloo, il maggiore dio fluviale della Grecia, capace di cambiare la propria forma (come in una sfida contro Herakles per la mano di Deianira quando si trasformò in toro, drago e bue). Stige “fra loro è la maggiore di tutte”, abitatrice del principale rio infernale le cui acque possono rendere immortali (Achille venne immerso nella sua corrente, tenuto per un tallone che per questo rimase vulnerabile); su di lei giurano gli dèi, e colui che si macchia di spergiuro per un anno “giace senza respiro; ne mai può farsi vicino all’ambrosia e al nettare cibo, […] e un funesto torpore lo avvolge” poi “per nove anni viene privato degli dèi sempre viventi, né mai frequenta il consiglio né i banchetti”(1).
Altre figlie di Oceano sono Kalypso amante di Odysseus, Metis dea della saggezza che attuò diverse metamorfosi prima di concedersi a Zeus, Tyche signora della fortuna e Perseide dalla quale discenderanno regine e maghe quali Kirke, Pasifae e Medea. Un’altra di queste ninfe, Doris, unendosi a Nereo “il vecchio del mare” (divinità simboleggiante il mare calmo, figlio di Ponto e Gaia e per ciò anteriore alla nascita degli Olimpii) darà vita al bel Nerito ed alle cinquanta Nereidi. Di queste, le più celebri sono: Tetide, madre di Achille, Galatea, amata dal ciclope Poliremo, ed Amphitryte, che diventerà la sposa del successivo dio del mare, Posidone, il dio dalla chioma turchina che porta il tridente. Da questa unione nasceranno Rhodos e Tritone, padre dei Tritoni che percorrono il mare suonando la buccina per suscitare o calmare le tempeste.(2)

Euripide nell’Andromaca (3) suggerisce che alle ninfe marine “Zeus ha dato un’esistenza e una dimora lontana dagli uomini, stabilendosi ai confini della terra. E’ là che abitano, il cuore libero da affanni, nelle isole dei Beati, in riva ai gorghi profondi dell’Oceano, eroi fortunati per i quali questo suolo fecondo porta tre volte all’anno un fiorente e dolce raccolto.”
Come non avvicinare questa descrizione alla miriade di isole incantate presenti in svariate tradizioni, dove gli eroi possono dimorare dopo la morte? (4)

Le abitatrici delle acque terrestri , prendono il nome di Naiadi (dal greco “scorrere” o “fonte”) e vengono dette alternativamente figlie di Oceano, di Zeus o del dio fluviale più prossimo alla loro dimora. Queste creature si dividono in varie specie a seconda del luogo che abitano: le Potameidi animano le acque cristalline dei fiumi, le Pegee o Crenee le limpide sorgenti scaturite dalle insondabili profondità terrestri e le Limniadi le polle stagnanti che sembrano custodire arcani segreti.
Altre fanciulle che abitano una piccola isola fra i flutti sono le Sirene (“le desiderate” o “che legano”), coloro che furono Ninfe di terra e che, per poter cercare anche sulle acque la loro compagna di giochi, Persephone, rapita dal dio del sotterraneo mondo dei morti, si trasformarono in esseri alati abitatori dei mari. Esse avevano una splendida voce che aveva il potere di attirare i marinai che la udivano; solo Orpheus ed Odysseus riuscirono a passare indenni presso il loro scoglio.

Un episodio riguardante le ninfe delle acque è quello di Hylas, lo splendido giovane, amante e scudiero di Herakles che si era imbarcato con gli argonauti. Durante una sosta su un’isola fu mandato a fare provvista d’acqua e “presto scorse una fonte, in un basso terreno; intorno cresceva molto fogliame, scuro chelidonio e verde capelvenere, apio fiorente e graminia serpeggiante. In mezzo all’acqua le Ninfe intrecciavano un coro, le ninfe insonni, le dee temibili per i campagnoli, Eunica, e Malide, e Nicea sguardo di primavera.” (5) Subito si innamorarono del bel fanciullo, e quando questi si fu chinato sullo specchio d’acqua lo afferrarono e lo portarono nelle profondità, dove con dolci parole lo rincuoravano. Herakles, preoccupato, si mise alla ricerca del compagno e tre volte urlò il suo nome, ma la voce del giovane sembrava provenire da grande distanza, e mai più lo rivide.



Ninfe dell’Aria

[…] Non saprebbe neanche distinguere
i ceselli dello scudo, l’Oceano, le terre, il cielo
con le stelle, le Pleiadi, le Iadi, l’Orsa che non tacca il mare,
le due città e la nitida spada di Orione.

Ovidio, Metamorfosi, XIII, 291 – 294

Le più note sono le Pleiadi, figlie di Atlante e Pleione e seguaci di Artemide, sette splendide sorelle abitatrici dei paesaggi silvestri. Accadde un giorno che Orion, il cacciatore, le scorgesse e se ne innamorasse; ma queste, disdegnando il suo amore, lo fuggirono per boschi e valli finché gli dèi, impietositi, le trasformarono in colombe (questo il significato del loro nome). Allora Orion incoccò una freccia, pronto a colpirle, ed esse pregarono nuovamente gli Olimpii, che in questa occasione le trasformarono in un insieme di sette stelle ancora oggi visibile (si dice che una, Merope, brilli di meno perché fu l’unica ad avere un amante mortale). Loro sorelle da parte di padre sono le Iadi, educatrici di Dioniso e divenute astri anch’esse (più precisamente gli astri che compongono il Toro). Il sorgere di queste costellazioni anticamente segnava l’inizio del tempo della mietitura.
Altra figura che in seguito si convertì in stelle è Amaltheia, la nutrice di Zeus. Questa Naiade (aiutata dalla sorella Melissa) nascose il dio fra i rami di un albero, cosicché il padre non poté trovarlo né in cielo, né in terra, né fra le acque, ed ucciderlo. La ninfa si confonde con la capra che porta il suo stesso nome, la quale allattò il fanciullo divino e dal cui corno spezzato ebbe origine la cornucopia, contenitore di fiori, frutti e nutrimento paragonabile ai calderoni di abbondanza della tradizione irlandese, che fornivano cibo senza che mai si esaurisse.
La stessa sorte toccò a Kallisto, compagna della casta Artemide. Amata da Zeus, che aveva preso le forme della Dea delle Selve per poter avvicinare la fanciulla, ella fu da lei cacciata quando fu chiara la sua gravidanza. Dal suo ventre nacque Arcade ed ella fu tramutata in orsa (non è chiaro se da Artemide, per punizione, o dal dio per difenderla dalla gelosa Hera). Un giorno, però, il figlio le diede la caccia fino all’interno del tempio del Tonante, ed egli trasformò entrambi: il giovane nella costellazione nell’Orsa minore e Kallisto in quella dell’Orsa maggiore.

Nella terra del crepuscolo, laddove si diceva che l’astro diurno si immergesse nelle acque tinte di rosa dalla luce declinante, vivono tre fanciulle splendide che intrecciano le loro danze intorno ad un radioso melo d’oro: sono le Esperidi, custodi dell’albero donato ad Hera da Gaia, il giorno del suo matrimonio, e delle fonti da cui sgorga l’ambrosia, il cibo degli immortali. Con loro, sull’isola, risiede anche un drago insonne dalle cento teste chiamato Ladone, che vigila affinché nessuno approdi in quel luogo incantato.

Ninfe del fuoco
Intorno le giovani
Eliadi, infelici, mutate negli alti pioppi,
effondono tristi lamenti e dai loro occhi
versano al suolo le gocce d’ambra splendente.

Apollonio Rodio, Le argonautiche, IV, 607 – 609



Nate dal sole, Helios, e dall’Oceanina Climene, sono le Eliadi, lucenti e ridenti fanciulle. Il loro numero varia da tre a sette ed alcuni dei loro nomi sono Egle, Elie, Eterie, Febe, Lampezia e Faetusa. Loro fratello era Fetonte, che pregò il padre di poter condurre il carro solare nel cielo e questi, avendo giurato sulle acque stige di concedergli tutto ciò che avesse voluto, dovette accordargli questo dono; non trascorse molto tempo dalla sua partenza che il bel giovane perse il controllo dei focosi cavalli che si portarono troppo vicini alla terra, inaridendo i pascoli e facendo evaporare le fonti. Il padre Zeus allora, dovendo porre rimedio alla situazione fulminò Fetonte che cadde nelle acque dell’Eridano, con grande dolore dei genitori. Qui, dopo un lungo peregrinare, lo ritrovarono la madre e le sorelle, le quali, dopo lunghi pianti e giorni di lutto, si trasformarono in pioppi, stillanti ambra dorata come lacrime che sempre verseranno per la morte del loro amato fratello.

Le Ninfe a Roma
Le divinità della natura erano dette Ninfe ed erano più o meno equivalenti alle loro sorelle greche.
Per i Latini l’equivalente delle fanciulle che abitano le fonti erano le Camene, di cui le più conosciute sono Egeria e Carmenta. Alcune volte vengono confuse con le Muse, come nel proemio dell’Odusia di Livio Andronico: “Narrami, o Camena, dell’eroe versatile…”

Egeria
Parla, o ninfa, rinchiusa dal bosco e dal fonte di Diana;
ninfa, moglie di Numa, son giunto alla tua festa.
Nella valle aricina, precinto da ombrosa foresta
v’è un lago consacrato al culto degli antichi.
Con mormorio soave scorre un ruscello fra i sassi,
dove io bevvi sovente, ma con piccoli sorsi
Egeria lo alimenta, la diva gradita alle Camene.

Ovidio, Fasti, III, 261 – 264 e 273 - 275

Egeria, driade della quercia, fu consigliera e amante del secondo re dell’Urbe, Numa Pompilio, al quale si univa nella profondità del bosco a lei sacro. A questa Entità delle acque era dedicato un boschetto presso una fonte dove le Vestali venivano ad attingere acqua giornalmente per i loro riti, e forse fu proprio in prossimità di questa fonte che la sacerdotessa di Vesta, Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, si addormentò e fu posseduta da Marte.
Altro luogo in cui veniva adorata era il santuario nel bosco di Nemi, ad Aricia, dove una fonte alimentava un lago argentato. Qui la ninfa veniva invocata (insieme e Diana e al suo paredro Virbio) dalle donne al fine di avere un parto facile, dal quale uscissero vivi sia la madre sia il bimbo, e affinché le sue acque medicamentose guarissero i malati; sono infatti stati trovati nella fontana a lei dedicata varie effigi di parti del corpo umano, volte al ringraziamento per una guarigione o come richiesta di soccorso (da notare che questa tradizione è proseguita fino a pochi anni fa nella forma cristianizzata degli ex-voto alla Madonna). In questo luogo i cavalli non potevano entrare poiché Virbio altri non era che il greco Ippolito “colui che scioglie i cavalli”, devoto solamente ad Artemide. Per questo motivo Aphrodite, indispettita, fece in modo che la sua matrigna si innamorasse di lui ed, una volta respinta, lo accusasse dinnanzi al padre Teseo di averla voluta sedurre; Teseo, dunque, pregò Posidone (a cui l’equino era sacro) di uccidere il giovane, cosa che avvenne presso una spiaggia dove egli stava cavalcando: all’emergere di un mostro marino dai flutti d’acqua i cavalli imbizzarriti sbalzarono Ippolito e lo calpestarono. Artemide lo fece dunque resuscitare dal dio medico Asklepios e lo trasportò nel santuario presso il lago di Nemi, dove divenne suo sacerdote con nome appunto di Virbio (“dal ramoscello verde”).
Ovidio, inoltre, ci dice nei Fasti che “[nel bosco] sono appesi nastri, che coprono file di piante e molti voti per la dea che ben n’è degna” e che le donne a cui siano state esaudite delle richieste si rechino coronate di serti presso la fonte per ringraziare la divinità. Il sacerdote del luogo è un Re sacro che si mantiene in carica finché non viene ucciso da un nuovo candidato: “N’ottiene il sacerdozio chi è forte di mano e veloce di piede, e poi perisce con l’esempio che diede.”(6)

Carmenta
[…] della divina madre,
che, quando il fuoco sacro chiudeva il petto, mandava
dalla bocca invasata veridici responsi.
Fortunata indovina! Visse gradita agli dèi,
ed or, ch’è dea, le è sacro questo dì di gennaio.

Ovidio, I Fasti, I, 472 – 474 e 585 – 586

Carmenta (“la rivelatrice”) dai caratteri maggiormente legati alla profezia (dal suo nome sarebbe derivato il termine carmen “poesia, canto, racconto epico”), e per ciò a volte sovrapposta alle Muse greche, era detta “colei che conosce il passato e l’avvenire” – in seguito Antevolta “che guarda avanti” e Postvolta “che guarda indietro” si distinsero come nomi di altre due Camene.
Virgilio nell’Eneide ne fa la madre di Evandro, un alleato di Enea, al quale predisse l’esilio dall’Arcadia e le peregrinazioni fino all’Italia, dove profetizzò anche la futura grandezza di Roma. Ormai ultra centenaria, il figlio l’avrebbe seppellita in prossimità della Porta Carmentale, dove in epoca storica si trovava il tempio a lei dedicato; il sacerdote preposto al suo culto era il flamen carmentalis che ne officiava i riti durante i Carmentalia (11 e 15 di Gennaio). Si diceva che fosse stata proprio questa Camena ad introdurre l’alfabeto a Roma.

Anna Perenna
La geniale festa si celebra d’Anna Perenna
negli Idi, non lontano dalle tue rive, o Tevere
straniero. Vien la plebe che cionca dispersa sull’erba
verde ed ognuno si sdraia con la sua innamorata.

Ovidio, I Fasti, III, 523 - 527


Altra divinità delle acque era Anna Perenna.(7) La sua festa cadeva alle Idi di Marzo (15 Marzo) ed era celebrata presso un boschetto sacro sulle sponde del Tevere. In quest’occasione la divinità veniva celebrata con canti, balli, bevute e auguri per l’inizio del nuovo anno (anticamente infatti questo mese era quello che apriva il ciclo annuo); durante la notte uomini e donne si univano fra le fronde rinnovando riti antichissimi. I ritrovamenti avvenuti in maniera casuale in quello stesso luogo sono molto indicativi per comprendere il ruolo di questa antichissima divinità (tanto antica che in epoca storica si avevano incertezze riguardo la sua leggenda): sono stati ritrovati una vasca in pietra, recante l’incisione “alle Ninfe consacrate ad Anna Perenna”, moltissime monete, lucerne (utilizzate anche nel sacrario di Egeria ad Aricia), dieci contenitori cilindrici, al cui interno erano conservate delle figure umane stilizzate in cera o argilla, ed un calderone di rame.
Il nome potrebbe indicare la perenne corrente delle acque che sempre rigenera la vita e sotto questa luce i reperti potrebbero essere stati gettati fra le acque da fedeli grati per una preghiera esaudita, come ringraziamento o come richiesta di risanamento, poiché chi alimenta la vita può anche guarire; inoltre la presenza di piccole lucerne avvicinerebbe questa figura a quella latina di Vesta (la greca Hestia) signora del fuoco sacro, a Diana come Lucifera (portatrice di luce), alla Brighid irlandese, alla Sulis gallese e, quindi, alle ninfe e sacerdotesse legate a queste Dee.

Sorrisi della Natura
Il termine ninfa proviene dal greco, attraverso il latino, nymphe con significato di “velata, coperta” e quindi di “sposa, ragazza in età da marito”, poiché il velo era un elemento irrinunciabile dell’abito nuziale antico; il sollevamento del velo della sposa (anakalyptérion) sanciva il suo passaggio da donna libera a moglie, e quindi coloro che sono “velate” non sarebbero sottoposte al giogo matrimoniale.
Altra possibilità è quella secondo cui il termine derivi da “nephos” ovvero “nuvola” la cui radice è legata a “umido”, “acqua”.
Il termine ninfe è riferito anche alle piccole labbra dell’apparato genitale femminile, forse con legami con il greco nympheion, “talamo”, o nympheyma “sposalizio”, oppure da limphos (parallelo al latino linfa “acqua”) “scorrevole, umido”.
Da tutte queste notizie si può desumere il carattere fortemente legato alle acque e all’umidità di queste entità naturali. Quale altro elemento, in fondo, poteva essere più adatto di questo a rappresentare coloro che vivificano ogni cosa, diffondendo la loro armonia come onde concentriche sempre più ampie provocate da un sassolino? In questo caso però, la vita che esse offrono non va intesa solamente come fenomeno biologico, bensì, a livello spirituale, come una sollecitazione all’anima, più o meno dormiente, degli uomini.
Le ninfe, a metà fra l’umano e il divino erano in genere rappresentate ed immaginate come bellissime e sensuali ragazze, nude o coperte di veli, che passavano il loro tempo filando, cantando con voce melodiosa, giocando all’ombra fresca degli alberi, bagnandosi nei ruscelli, cacciando e animando i cortei di dèi maggiori, quali l’aurea Aphrodite, il focoso Pan, l’azzurro Posidone, l’allegro Dioniso e la selvaggia Artemide. Spesso si lanciavano in amori folli e totali, non sempre ricambiati o, viceversa, si negavano alle divinità o ai satiri che si accendevano per loro. Nessun’altro aspetto poteva essere più adatto di questo a simboleggiare i sorrisi della natura, ciò che essa di meglio e più incantevole offre: donne, perché sono le donne a portare in sé vita e nutrimento, fanciulle, perché ogni ragazza nel fiore degli anni è bellissima ed espressione del mattino del mondo, quando l’innocenza e l’armonia regnavano sovrani, nude, perché nonostante gli anni di oscurantismo e le distruzioni operate dall’uomo questi aspetti della Natura non potranno mai essere totalmente distrutti e, soprattutto, meravigliosamente indomite e indomabili, vergini (nel senso arcaico del termine) (8) al punto di poter mutare la propria forma per sottrarsi ad amori ed influenze negative.

I loro luoghi di culto erano i ninfei, tempietti situati in luoghi naturali quali boschetti, fonti, cime di monti e soprattutto grotte con sorgenti; nei tempi antichi si offrivano loro primizie, cereali, latte, olio o sale, e successivamente incenso (9); nei secoli seguenti si immolavano anche animali, ma, forse, la ovvia naturalità e armonia di queste abitatrici delle selve e dei luoghi selvaggi ci suggeriscono che i sacrifici incruenti erano a loro maggiormente graditi, come testimonia Platone nelle Leggi: “[…] e agli dèi non si offrivano sacrifici animali, ma focacce e frutti intrisi di miele e altre analoghe pure offerte, e ci si asteneva dalle carni perché si riteneva che non fosse conforme alla legge divina mangiarne e contaminare di sangue l’altare degli dèi […]”
Le grotte erano considerate sacre da tempi immemorabili (l’uso è attestato già in epoca minoica) per l’immediata connessione simbolica non solo con il mondo sotterraneo o dei morti (tomba), ma anche per una certa simpatia con l’apparato riproduttore femminile (utero), umido e buio. Emergono così dal passato le varie facce di Colei che unisce entrambe le nature, Signora della vita – morte – vita.

Nei miti che riguardano le ninfe succede a volte che gli dèi Olimpii usino violenza a queste fanciulle incantate; può forse essere un simbolo del passaggio dell’uomo da un’era di perfetta comunanza con l’Armonia, denominata anticamente Età dell’Oro, ad un'altra più oscura durante la quale si è progressivamente allontanato da essa?

Le ninfe sono courotrofe, ovvero si curano di educare (ed iniziare) i kouros, i fanciulli, affinché alla loro riemersione dai flutti possano affrontare il loro destino come veri Uomini; questo ruolo in effetti non è presente solo nella mitologia greca, basti pensare alla Dama del Lago dei racconti arturiani, che secondo le varie versioni rapì nel suo reame Lancillotto, i suoi cugini, Bors e Lionello ed anche lo stesso Artù; oppure ci si può ricordare delle vecchie incantatrici delle favole che vivono in fondo a pozzi e torrenti o nelle profondità dei boschi, dove istruiscono giovani ed orfane, come la germanica Frau Holle o la russa Baba Yaga. (10)
Ciò che i protagonisti di alcune di queste storie trovano nel paese sotto le onde è una adeguata preparazione che permetterà loro di vivere e superare la propria iniziazione (è il caso di Lancillotto); per altri invece l’immersione significa cercare, scavare in loro stessi, raggiungere l’Altro mondo e vivere laggiù il sacrificio della parte caduca dell’individuo, in favore di quella luminosa ed immortale.

D’altra parte, spesso, per risvegliare i loro compagni, le ninfe e le divinità a loro prossime devono celebrare con essi lo hieros gamos, l’unione sacra. Così è per Anna Perenna, per le Menadi seguaci di Dioniso e per le sacerdotesse di Aphrodite; si pensi inoltre agli amorosi e naturali incontri che fioriscono in tutta la mitologia fra i mortali o i satiri e le ninfe. Forse, però, più di tutti gli altri, il signore della sensualità sfrenata, volta alla ricerca dell’estasi, e quindi di una dimensione non solamente fisica, è il dio delle selve Pan, con il suo seguito di Egipani (non per niente in tempo cristiano – serve ricordare la spiccata sessuofobia e misoginia di molti ecclesiastici? - il volto di questo dio caprino si trasformerà in quello del Diavolo).
In tempo storico, forse, queste cerimonie degenerarono in semplici incontri chiassosi, ma d’altra parte è utile ricordare che le notizie a noi pervenute sono state trasmesse da semplici uomini, i quali, privi di una qualsivoglia visione profonda o comprensiva, riportano solo la forma esteriore del culto e non certo quella misterica riservata ai soli iniziati; inoltre certi riti, al cui centro si trovava la figura di una dea, soprattutto se naturale e indomita, erano senza dubbio riservati alle sole donne, ed in particolare a coloro che consapevolmente ricercavano una Via che le portasse oltre la mera normalità e ripetitività, verso una dimensione imperitura ed armoniosa simboleggiata dalle mille divinità che di Era in Era hanno popolato la Natura; pertanto tali riti non potevano in alcun modo essere veramente conosciuti, visti o tantomeno descritti.

Aristotele nell’Etica edemia afferma, parlando delle vie per raggiungere la felicità: “O forse la felicità non può venire a noi in nessuno di questi modi, bensì in altri due, e cioè come accade ai nympholeptoi e ai theolepthoi, che entrano come in un’ebbrezza per ispirazione di un essere divino o altrimenti attraverso la fortuna”. Plutarco invece assicura che nei pressi dell’antro delle Ninfe Sfragitidi molte persone fossero state colte da questa mania (dal greco menis – connesso anche al nome delle Menadi- “furore, ira”) mentre Festo, grammatico latino del II sec. d.C. scrive: “Per antica tradizione si dice che chiunque veda un’apparizione emergere da una sorgente, cioè l’immagine di una Ninfa, delira; i Greci definiscono costoro nympholeptous mentre i Latini li chiamano lymphaticos.”
Queste enigmatiche fanciulle, custodi dei misteri della natura, possono dunque possedere attraverso lo sguardo coloro che si affacciano sulle loro acque, acque simili ad uno specchio, in cui il volto del cercatore si riflette ed affonda; egli dovrà affrontare la propria immagine, la propria parte inconscia, conoscere il terrore e lo smarrimento e vincerli, congiungersi con la Signora delle Acque disposto a perdere ciò che ha fin ora conquistato, dissolversi consapevolmente, riacquistare sé stesso, ritrovando le sue vittorie e dimenticando le sconfitte, per riemergere, infine, rinnovato, portando per sempre il dono della Dea del Nascosto sulla sua strada.
Il termine nympholeptous ha il significato di “rapito dalle ninfe” e coloro che erano vittima di tale rapimento acquistavano capacità alquanto particolari, simili a quelle delle seguaci di Dioniso ed alle ninfe stesse: potevano predire eventi futuri, lanciarsi in danze sfrenate e vivere nella natura selvaggia; ma soprattutto, coloro che erano posseduti dalle ninfe o dagli dèi (theolepthous) (11) potevano conoscere in loro stessi la pura e incontaminata naturalità, la vita selvatica degli animali, e sentire le voci degli antichi dèi che intonano la canzone senza fine della creazione (12).

Conclusione
Tutte le divinità di cui si è parlato finora hanno alcuni aspetti in comune:
- Presiedono ad un certo aspetto della natura, nel bene e nel male; infatti, se possono migliorare le condizioni atmosferiche e facilitare le attività dell’uomo, possono anche opporsi ad esse.
- Sono legate all’elemento acquoreo, come fonte di vita universale manifestata anche nella nascita e nel parto, che queste enità possono facilitare; e a quello igneo, da cui si origina la “scintilla” che anima ogni essere vivente e dà vita alla poesia-oracolo.
- Sono grandi cantrici e profetesse, abilità legate l'una all'altra poiché, da sempre, la parola, soprattutto cantata, ha potere magico ed evocativo.
- Sanno curare attraverso le loro acque o con le erbe, ma possono anche provocare malattie e disgrazie a coloro che disturbano i loro santuari e le loro abitazioni.
- Oltre ad essere legate all’allevamento dei bambini hanno anche una componente iniziatica, volta al passaggio del giovane da fanciullo a uomo e, più in generale, da essere limitato e contingente ad assoluto (dal latino absolvere “libero, sciolto”).
- Per richiamare le buone e forti sensazioni nei loro amanti e in loro stesse ricorrono al rapporto sacro, simbolo di unione fra essenza maschile e femminile.
- Possono rendere un essere umano simile a loro attraverso l’invasamento e il superamento di alcune prove.

Il percorso che l’uomo dovrebbe affrontare per raggiungere il Numinoso, e coloro che lo abitano, è quello di una discesa in un paese generalmente indicato come sotterraneo o subacqueo (comunque non identificabile geograficamente, in quanto luogo cosmico di sfida interiore), nel quale egli dovrebbe conoscere l’abbandono consapevole a quelle forze d’Armonia che lo “rapirebbero” da ciò che costituisce la sua vita normale e quotidiana, ritornando poi da tale rapimento portando con sé per sempre la capacità di raggiungere quello stato privilegiato comune ai nynpholeptoi, simboleggiato dalle auree Mele delle Esperidi, dal Ramo d’Oro che si doveva possedere per poter raggiungere l’Averno, o da quello d’Argento che conduceva nella magica Avalon.
Il percorso della donna è forse quello di rendersi il più possibile simile alla Signora di Perfezione, che la rende anche in grado di donare all’eroe, se si dimostra degno, i suoi splendidi doni di Fortuna e Felicità.


     


*Articolo scritto da Elke per https://www.iltempiodellaninfa.net,
pubblicato sul www.ilcerchiodellaluna.it con il permesso dell'autrice nel giugno 2012
Vietata la riproduzione anche parziale senza il permesso dell'autrice.




Note:
(1) Esiodo, Teogonia, 364 – 367, 361, 795 - 796, 801 – 802.
(2) Notiamo quindi come da ogni stirpe di ninfe marine ne discenda un’altra.
(3) Citato in Le figlie delle acque, B. Bulteau.
(4) Si ricordano, a tal proposito, la Tir-na–nOg o Tir–na–nBan (la “Terra dei giovani o delle donne”) e l’Emain Ablach (il regno del dio marino Manannan) irlandesi, la Avalon (dove Morgana, con le sue sorelle, porta Re Artù morente) dei racconti arthuriani e il Valhalla nordico (nel quale i combattenti valenti banchettano in compagnia delle Valkirie e di Odin).
(5) Teocrito, Idillio XIII Ilas, 39 - 45
(6) Per approfondire l’argomento Il ramo d’oro, J. G. Frazer.
(7) Per approfondire l’argomento Manoscritto sapienziale femminile, a cura di D. Melzi.
(8) Per approfondire l’argomento Le vergini arcaiche, L. Bearnè.
(9) E’ da rilevare che queste usanze sono fra le più antiche attestate e, almeno nella religiosità popolare, hanno lasciato tracce fino ai giorni nostri.
(10) Cfr. “La Dama del Lago” e “Frau Holle” in Il Tempio della Ninfa e l’analisi della favola “Vasilissa la bella” in Donne che corrono coi lupi.
(11) Questo tipo di possessione (o meglio un risveglio o un richiamo alle energie armoniose insite nell'uomo e ad esso circostanti), non ha nulla a che vedere con ciò che odiernamente si intende con tale termine, pertanto è quanto di più distante ci possa essere da ciò che riguarda diavoli, demoni e quant’altro.
(12) Questo stato, giudicato quasi sinonimo di follia, potrebbe essere avvicinabile all’archetipo dell’Uomo Selvaggio, a cui si sovrappone, ad esempio, il Merlino delle narrazioni arthuriane. Egli possiede, infatti, capacità oracolari e si mantiene distante dal mondo civilizzato della corte; in un’occasione assume l’aspetto prima di un cervo e successivamente di un uomo selvaggio, inoltre è l'unico al mondo capace di interpretare il sogno dell’Imperatore e di svelare cose che nessun’altro uomo poteva conoscere, ridendo sempre con fare giocoso prima di farlo.
Costoro abbandonano la civiltà, fatta di schemi inutili, artificialità, dimenticanza verso la magica bellezza della Natura, e si ritirano nei boschi per vivere appieno la meravigliosa estasi ispirata loro dalle Entità luminose.



IMMAGINI:
Immagine 1: Nereides, Gaston Bussiere
Immagine 2 The nymphaeum di W. A. Bouguereau.
Immagine 2: Hylas and the Nymps di J. Waterhouse; le Ninfe della fonte stanno trascinando con loro nelle acque il giovane Hylas.
Immagine 4 Elihu Vedder: le Pleiadi
Immagine 5 Maestranze mantovane, Le Eliadi piangono Fetonte, 1577'88, affresco, Sala dei Miti, Palazzo del Giardino, Sabbioneta.
Immagine 6 Egeria, statua romana
Immagine 7 Carmenta
Immagine 8 Didone e Anna Perenna
Immagini 9-12: Ariadne, Ninfa della fontana di Nettuno (Giambologna), Statua di ninfa, Avignone; ninfa, Grecia




Fonti:
Dizionario di mitologia classica, G. L. Messina, Signorelli Editore
Dizionario di mitologia greca, A. Di Santo, L’Airone Editrice
Le leggi, Platone, da I grandi filosofi, A. Massarenti
Teogonia, Esiodo (a cura di E. Vasta), Mondadori Editore
Opere e giorni, Esiodo ( cura e traduzione di G. Arrighetti), Garzanti Editore
Idilli e Epigrammi, Teocrito ( cura e traduzione di B. M. Palumbo Stracca) Rizzoli Editore
I Fasti, Ovidio (a cura di F. Bernini) Zanichelli Editore
Metamorfosi, Ovidio (traduzione di G. Paduano) Mondadori Editore
Iliade, Omero e Eneide, Virgilio e Argonautiche, Apollonio Rodio in La musa racconta (traduzione di V. Casale e cura di G. Calamaro) Editrice Ferraro
Odissea, Omero ( traduzione di I. Pindemonte e cura di M. Savini), Newton Compton Editori
Il ramo d’oro, J. G. Frazer, Bollati Boringhieri Editore
Le dee viventi, M. Gimbutas, Edizioni Medusa
La dea bianca, R. Graves, Adelphi Edizioni
I romanzi della tavola rotonda, J. Boulenger ( a cura di G. Agrati e M. L. Magini), Mondadori Editore.
Donne che corrono coi lupi, C. P. Estés, Frassinelli Editore
Le figlie delle acque, M. Bulteau, ECIG
Il Tempio della Ninfa, Violet e ValerieLeFay, Boopen Editore
Le vergini arcaiche, L. Bearné, Edizioni della Terra di Mezzo
Manoscritto sapienziale femminile, (traduzione e cura di D. Melzi) Edizioni della Terra di Mezzo
Alla ricerca della Luna, A. d’Aries, Edizioni della Terra di Mezzo
https://www2.units.it/~grmito/
https://www.etimo.it/
https://it.wikisource.org/wiki/Pagina_principale
https://www.donnamed.unina.it/rito_velo.php






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