da LUPERCUS a San VALENTINOa cura di 
        Manuela Caregnato
 
 
  
 San Valentino, oggi nota come festa 
        degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate, 
        le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con 
        la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato 
        originale della festa.
 
 Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia 
        e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti 
        del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli 
        agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra 
        e della vita agricola.
 Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove 
        ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della 
        natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con 
        essa.
 E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui 
        celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio.
 
 Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla 
        stagione invernale a quella primaverile.
 Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese 
        in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
 Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano 
        gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle 
        in cerca di cibo, minacciando i greggi.
 Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio 
        e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano 
        al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione.
 Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe, 
        sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili 
        di Madre Natura.
 Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio 
        tributi di cacio e ricotta dai pastori.
 In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa, 
        chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il 
        15 febbraio.
 
 
 LUPERCUS FAUNUS
 
 
  
 Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno, 
        un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte 
        di Fauna (1), Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un 
        figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò.
 Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di 
        capra e armato da una clava da pastore. (2)
 La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più 
        tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
 Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi 
        dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus).
 Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma 
        era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue 
        prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, 
        divenivano simili alle Sibille nel loro profetare.
 A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii 
        su cui si fonda la poesia latina.
 E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe 
        a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose 
        e voci soprannaturali.
 Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza, 
        dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni greche e latine, simbolo 
        di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte 
        le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo” 
        benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone 
        dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo 
        al divertimento sfrenato.
 
 
 I LUPERCALI
 
 
  
 "Lupercalia dicta, quod in Lupercali Luperci sacra faciunt. Rex cum ferias 
        menstruas Nonis Februariis edicit, hunc diem februatum appellat; februm 
        Sabini purgamentum, et id in sacris nostris uerbum non ignotum: nam pellem 
        capri, cuius de loro caeduntur puellae Lupercalibus, ueteres februm uocabant, 
        et Lupercalia Februatio, ut in Antiquitatum libris demonstraui." (3)
 
 I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio 
        di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le 
        genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella 
        stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità 
        della terra e dei suoi abitanti.
 Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare 
        rito.
 
 
    Pare 
        che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, 
        ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa 
        trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma. 
 Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro 
        misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una 
        capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con 
        il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva 
        le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle 
        con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, 
        come prescritto dalla liturgia.
 
 I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne 
        le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con 
        i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso 
        e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati 
        di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro 
        da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne 
        da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” 
        e resi fertili, sia la terra che gli individui.
 
 
 
   In particolare le donne, per ottenere 
        la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo 
        di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle 
        mani). I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri 
        quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente 
        potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi 
        nel loro percorso intorno al Palatino.
 
 La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una 
        simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle 
        giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in 
        bigliettini dentro due appositi contenitori.
 Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano 
        un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un 
        anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la 
        benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle 
        grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi 
        nel modello mitico universale noto come la lupa.
 Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza 
        significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo.
 L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, 
        quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa 
        degli innamorati.
 
 
 I LUPERCI
 
 I luperci erano i sacerdoti del dio Lupercus e nell'antica 
        Roma godevano di un gran prestigio.
 Diretti da un unico magister, essi erano divisi in due schiere di dodici 
        membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani -"dei Fabii", fondati da Remo, 
        e Luperci Quinctiales -dei Quinctii", fondati da Romolo (ai quali per 
        un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata 
        Luperci Iulii, in onore di se stesso).
 In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi, mentre 
        da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente e ne fecero parte solo 
        giovani appartenenti all'ordine equestre.
 Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia, 
        venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per 
        i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale, con il rito sopra descritto 
        del sacrificio della capra e del cane.
 Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita 
        rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta 
        la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con 
        il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano la rinascita 
        alla nuova condizione sacerdotale.
 
 
 
 DAI FAUNI A SAN VALENTINO
 
 Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero 
        demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, 
        si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti 
        e la coda.
 Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani 
        per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto 
        per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della 
        fertilità.
 Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che 
        secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati 
        «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane.
 Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili 
        agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati 
        di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri 
        dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, 
        sebbene tali non fossero.
 Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, 
        da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della 
        Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: 
        la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, 
        ad essere perseguitata.
 Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la 
        festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni 
        sessuali.
 LA DEA LUPA
 
 
  
 Ben prima che toccasse ai Fauni, la triste sorte accadde anche alla Dea 
        della natura selvaggia, la grande Madre o Dea Lupa.
 La nascita dell'antica Roma corrisponde ad un tempo in cui il patriarcato 
        ha già avuto il sopravvento ed erano gli Dei maschi a dominare
 lo scenario religioso.
 In particolare Marte, dio guerriero e dominatore, suscita la maggior devozione 
        di questo popolo molto impegnato con le guerre di conquista e quindi dotato 
        di un potente esercito.
 Per quanto riguarda le Dee, a parte le divinità greche importate 
        a roma con nome latino (Vesta, Minerva, Venere, Cerere), i popoli avevano 
        una particolare predilezione per la Dea Acca Larentia, una Dea 
        prostituta (guarda caso) e protettrice di Roma ma soprattutto della plebe.
 I miti che la riguardano sono vari.
 Per alcuni si trattava di una semplice donna che guadagnò il favore degli 
        Dei stando per una notte intera in adorazione nel tempio di Eracle. Appena 
        uscita dal tempio incontrò tal Caruzio, Taruzio o Taurilio, uomo ricchissimo, 
        che se ne innamorò e la sposò, lasciandola poi erede della sua immensa 
        fortuna. Alla sua morte Acca lasciò tutto il patrimonio al popolo romano. 
        Tutto questo sarebbe accaduto al tempo di Anco Marzio. Il re, in segno 
        di ringraziamento, le avrebbe fatto costruire una magnifica tomba sul 
        Velabro, il mitico luogo del rinvenimento dei gemelli, nei pressi della 
        porta Romanula.
 Secondo Plinio e Gellio invece, Acca era la nutrice dei gemelli, ed ebbe 
        anche dodici figli maschi che diventeranno poi i fratelli Arvali, costituendo 
        il celebre collegio sacerdotale, adoratore di Dia, antichissima Dea.
 Secondo un altro mito essa era una tipina un po' dissoluta, moglie del 
        pastore Faustolo (il nome probabilmente deriva dal Dio Faunus), che si 
        fece però carico dei fatali gemelli fondatori di Roma, per altri una prostituta 
        vera e propria che fece loro da balia.
 In un altro mito essa era la famosa lupa che li allattò sulle rive del 
        Tevere.
 
 Ma tutti questi miti sono solo la versione patriarcale di una storia 
        ben più antica:
 
 Larentia era in origine la Grande madre, o Madre Natura, la prostituta 
        sacra che si accoppia con chiunque e produce di tutto, dalle piante agli 
        animali e agli uomini. E' in suo nome che si effettuava la prostituzione 
        sacra, la ierodulia, e le stesse sacerdotesse, in onore della Dea selvaggia, 
        la Dea lupa, indossavano pelli di lupo e ululavano ai viandanti. Non a 
        caso gli antichi postriboli erano detti "lupanare" (4).
 Allo stesso modo in cui il Fauno fu gradualmente sostituito da un santo, 
        così anche la sua controparte femminile, potente e istintiva,
 fu sostituita da divinità mano a mano sempre meno potenti, fino 
        ad arrivare alla totale castrazione della componente istintiva e sessuale.
 
 Tutto questo mi ricorda il testo con cui si apre il celebra libro di Pinkola 
        Estès, dal significativo titolo "Donne che corrono con i lupi":
 "Siamo pervase dalla nostalgia per l'antica natura selvaggia. Pochi 
        sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato 
        a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli 
        e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l'ombra della Donna 
        Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre 
        notti. Ovunque e sempre, l'ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente 
        a quattro zampe".
 
 
 
 E S. VALENTINO?
 
 
   Valentino era un vescovo di terni e suo patrono dal 1644, e come tale 
        professava la fede cristiana nell'epoca delle persecuzioni nel sacro romano 
        impero, pagano e politeista. Accadde che non solo convertì al cristianesimo 
        un filosofo romano di nome Cratone, ma commise anche l'errore di sposare 
        una coppia di giovani innamorati (tale fanciulla di nome Serapia con un 
        centurione romano non meglio identificato), andando contro l'editto di 
        claudio II, che aveva vietato ai suoi legionari il matrimonio con le fedeli 
        cristiane. Per questo il vescovo fu giustiziato e in seguito fatto santo 
        e commemorato, dal 496 d.c. nello stesso giorno in cui si teneva la festa 
        dei lupercali. La leggenda narra che poco prima di essere giustiziato, 
        Valentino fece un miracolo. Il 14 febbraio lasciò un bigliettino alla 
        figlia non vedente del suo carceriere asterio, di cui si era platonicamente 
        innamorato, su cui era scritto "dal tuo valentino". Ella lo lesse ritrovando 
        la vista e da ciò sembra derivare l'usanza di scambiarsi messaggini d'amore 
        nel giorno di san valentino. 
 Esistono alcune graziose leggende d'amore su San Valentino (5), ma la 
        cosa buffa è che la chiesa stessa soppresse questa festa dal 1969.
 Ciò nonostante continua a comparire su alcuni calendari, fortemente 
        promossa non tanto dagli innamorati quanto dai mass media e dalla grande 
        industria del consumisto che nel nome dell'amore fa i suoi ricchi bottini.
 
 
 
 Ricerca di 
        Manuela Caregnato Inserito nel sito www.ilcerchiodellaluna.it nel Gennaio 2011
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 (1) Nell'antica Roma Fauna venne identificata con varie Dee tra cui Bona 
        Dea, Cerere e Cibele. Nel suo tempio era proibito il mirto, perchè secondo 
        la leggenda suo marito l'avrebbe con un ramo di mirto fustigata per essersi 
        lasciata andare al vino. Si usava al suo posto il latte. Ma in realtà 
        ciò che era vietato veniva usato nei sacri misteri. Il vino era il sangue 
        della Madre Terra che poteva essere bevuto solo in condizioni di purezza 
        spirituale, cioè durante i sacri misteri, e il mirto era sacro alle Grandi 
        Madri, in particolare a Venere.
 
 
 (2) In alcuni miti si dice un antico re del lazio, nipote di saturno o 
        di marte, figlio di Pico e Canente, o Pico e secondo l'Eneide padre del 
        re Latino. Secondo questo mito dopo la morte Fauno fu venerato come protettore 
        di raccolti e armenti con il nome i Inuus o Ianus la cui consorte era 
        Ianua da cui deriverebbero Giano e Giunone, ma aveva pure potestà 
        oracolari quale consorte di Fatua, con il nome Fatuus.
 Secondo un mito latino era invece figlio di Giove e Circe.
 Secondo dei miti romani, ripresi poi nell'Eneide da Virgilio, Fauno era 
        lo sposo di Marica, divinità delle acque e dei boschi, dalle quale ebbe 
        il futuro re Latino. Venerata in un bosco sacro, Marica fu in realtà un’immagine 
        o un aspetto della Signora degli Animali, l’antica Potnia, altri aspetti 
        della quale sono Fauna e Kirke. Sempre per Virgilio - Eneide - il re Latino: 
        "si rivolge agli oracoli di Fauno, il padre profetico, e consulta i divini 
        boschi sotto l’alta Albunea, massima tra le selve, che risuona dal sacro 
        fonte ed esala violenti vapori mefitici".
 Secondo una tradizione riferita da Nonno di Panopoli nelle «Dionisiache», 
        Fauno era figlio di Poseidone e di Kirke, e della madre, la quale amava 
        gli alti monti rocciosi e boscosi, e dimorava nelle ombrose sale di un 
        palazzo di roccia, aveva appreso le arti. Da lei aveva imparato a conoscere 
        i boschi solitari e i loro segreti. Altri lo identificavano con Agrio 
        (il «selvaggio»), e Fauno sarebbe allora figlio di Kirke e di Odisseo. 
        Secondo un’altra tradizione, invece, è figlio di Kirke e di Pico, primo 
        nume oracolare, trasformato in picchio dalla Dea stessa quando ha osato 
        rifiutarne l’amore. Come Kirke, vive nella foresta ed è Signore degli 
        Animali.
 Sia come cornuto e caprino, sia come lupesco, sembra connesso al mondo 
        infero. Per altri ancora fu il terzo re preistorico dell'Italia, e avrebbe 
        introdotto nella penisola il culto delle divinità e l'agricoltura; dopo 
        la morte fu venerato come dio dei boschi, protettore di greggi e armenti. 
        Secondo altre fonti, i Fauni sarebbero stati antichi pastori, abitanti, 
        ai primordi del mondo, nel territorio sul quale verrà fondata Roma.
 Nell'Eneide Fauno è il padre del giovane guerriero italico Tarquito ucciso 
        da Enea in combattimento. Tarquito era un semidio, figlio della ninfa 
        Driope. Secondo un’altra tradizione è fratello e marito di Fauna, Signora 
        degli Animali come Kirke e come Diana, nonché identificata con Bona Dea, 
        e soprannominata a sua volta Fatua. In un’altra versione, Bona Dea è sua 
        figlia, e lo respinge, quando lui la insidia. In seguito, però, egli riesce 
        a congiungersi con lei dopo essersi trasformato in serpente. Ma questi 
        sono miti elaborati successivamente, perchè nel mito più arcaico era figlio 
        e paredro della Dea Madre. Tutto ciò, inoltre, lo accosta a Pan, che ha 
        simili caratteristiche.
 
 
 (3) Terenzio Varrone, De lingua latina
 
 (4) Sembra che Acca Larentia fosse denominata anche Mater Larum o "Madre 
        dei Lari", del resto in sanscrito Akka significa Madre, ma fu anche un 
        nome di Demetra, Acca Demetra, in qualità di nutrice.
 Romolo e Remo infatti furono celebrati come Lari di Roma, gli antenati 
        protettivi.
 Acca Larenzia viene identificata con una divinità ctonia, custode del 
        mondo dei morti, Larenta, o Larunda, come era chiamata dai Sabini. Larenta, 
        o "Dea Muta" era una divinità femminile del sottosuolo e dell'oltretomba, 
        quindi il lato oscuro della Madre Natura, quello relativo alla morte.
 
 (5) Le leggende d'amore su san Valentino
 
 Leggenda dell’Amore Sublime
 Questa leggenda narra di un giovane centurione romano di nome Sabino che, 
        passeggiando per una piazza di Terni, vide una bella ragazza di nome Serapia 
        e se ne innamorò follemente. Sabino chiese ai genitori di Serapia di poterla 
        sposare ma ricevette un secco rifiuto: Sabino era pagano mentre la famiglia 
        di Serapia era di religione cristiana. Per superare questo ostacolo, la 
        bella Serapia suggerì al suo amato di andare dal loro Vescovo Valentino 
        per avvicinarsi alla religione della sua famiglia e ricevere il battesimo, 
        cosa che lui fece in nome del suo amore. Purtroppo, proprio mentre si 
        preparavano i festeggiamenti per il battesimo di Sabino (e per le prossime 
        nozze), Serapia si ammalò di tisi. Valentino fu chiamato al capezzale 
        della ragazza oramai moribonda. Sabino supplicò Valentino affinché non 
        fosse separato dalla sua amata: la vita senza di lei sarebbe stata solo 
        una lunga sofferenza. Valentino battezzò il giovane, ed unì i due in matrimonio 
        e mentre levò le mani in alto per la benedizione, un sonno beatificante 
        avvolse quei due cuori per l’eternità.
 
 Leggenda della Rosa della Riconciliazione
 Un giorno San Valentino sentì passare, al di là del suo giardino, due 
        giovani fidanzati che stavano litigando. Decise di andare loro incontro 
        con in mano una magnifica rosa. Regalò la rosa ai due fidanzati e li pregò 
        di riconciliarsi stringendo insieme il gambo della rosa, facendo attenzione 
        a non pungersi e pregando affinché il Signore mantenesse vivo in eterno 
        il loro amore. Qualche tempo dopo la giovane coppia tornò da lui per invocare 
        la benedizione del loro matrimonio. La storia si diffuse e gli abitanti 
        iniziarono ad andare in pellegrinaggio dal vescovo di Terni il 14 di ogni 
        mese. Il 14 di ogni mese diventò così il giorno dedicato alle benedizioni, 
        ma la data è stata ristretta al solo mese di febbraio perché in quel giorno 
        del 273 San Valentino morì.
 
 Leggenda dei Bambini
 San Valentino possedeva un grande giardino pieno di magnifici fiori dove 
        permetteva a tutti i bambini di giocare. Si affacciava sovente dalla sua 
        finestra per sorvegliarli e per rallegrarsi nel vederli giocare. Quando 
        venive sera, scendeva in giardino e tutti i bambini lo circondavano con 
        affetto ed allegria. Dopo aver dato loro la benedizione regalava a ciascuno 
        di loro un fiore raccomandando di portarlo alle loro mamme: in questo 
        modo otteneva la certezza che sarebbero tornati a casa presto e che avrebbero 
        alimentato il rispetto e l’amore nei confronti dei genitori. Da questa 
        leggenda deriva l’usanza di donare dei piccoli regali alle persone a cui 
        vogliamo bene. Leggenda dei Colombini Il sacerdote Valentino possedeva 
        un grande giardino che nelle ore libere dall’apostolato coltivava con 
        le proprie mani. Tutti i giorni permetteva ai bambini di giocare nel suo 
        giardino, raccomandando che non avessero fatto danni, perché poi la sera 
        avrebbe egli regalato a ciascuno un fiore da portare a casa. Un giorno, 
        però, vennero dei soldati e imprigionarono Valentino perchè il re lo aveva 
        condannato al carcere a vita. I bambini piansero tanto. Valentino, stando 
        in carcere pensava a loro, e al fatto che non avrebbero più avuto un luogo 
        sicuro dove giocare. Ci pensò il Signore. Fece fuggire dalla gabbia del 
        distratto custode due dei piccioni viaggiatori che Valentino teneva in 
        giardino. Questi piccioni, guidati da un misterioso istinto, trovarono 
        il carcere dove stava chiuso il loro santo padrone. Si posarono sulle 
        sbarre della sua finestra e presero a tubare fortemente. Valentino li 
        riconobbe, li prese e li accarezzò. Poi legò al collo di uno un sacchetto 
        fatto a cuoricino con dentro un biglietto, ed al collo dell’altro legò 
        una chiavetta. Quando i due piccioni fecero ritorno furono accolti con 
        grande gioia. Le persone si accorsero di quello che portavano e riconobbero 
        subito la chiavetta: era quella del giardino di Valentino. I bambini ed 
        i loro familiari si trovavano fuori del giardino quando il custode lesse 
        il contenuto del bigliettino. C’era scritto: “A tutti i bambini che amo, 
        dal vostro Valentino”.
 
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 Fonti:
 
 wikipedia
 www.sacroromanoimpero.com
 il "Dizionario di mitologia classica"
 immagini tratte dalla rete
     
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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